RIFLESSIONE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

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RIFLESSIONE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

RIFLESSIONE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

 

Siamo indubbiamente in un periodo di emergenza. Per la maggior parte viviamo isolati, confinati nelle nostre abitazioni. Si tratta di una situazione che sta mettendo a dura prova le nostre capacità di resistenza, di reazione, di pazienza e di adattamento.

Anche noi del Centro Studi Parini siamo stati costretti, in merito alle nostre abituali attività, ad adattarci al cambiamento. Abbiamo chiuso i nostri locali, bloccato le normali lezioni e corsi, avviato un nuovo tipo di attività didattica. Questo dal 25 febbraio. Un’emergenza non facile da affrontare, così, nell’immediato, ma abbiamo cercato di fare del nostro meglio, per quanto possibile. Io, come del resto i miei colleghi, Rosaria, Marilena, Massimo, siamo abituati al contatto diretto, quotidiano, con i ragazzi, i genitori, gli insegnanti, e questo contatto, inutile dirlo, oggi ci manca.

Ma questo isolamento può anche essere vissuto come un’occasione di riflessione riguardo quello che facciamo, come lo facciamo e perché.

E visto che il Centro studi, in quanto cooperativa sociale, fin dagli inizi ha cercato di dare un senso e un valore prettamente sociale alle proprie attività, ovvero aiutare chiunque fosse in difficoltà con il proprio percorso scolastico, aiutandolo a recuperarlo e risolverlo, vorrei approfittare di questo spazio per fare alcune considerazioni riguardo al senso e significato dell’educazione.

Premesso che l’educazione non si limita alle sole attività di carattere scolastico, occorre dire che educazione è sempre stata una parola di cui spesso si abusa. Educazione, come anche accennavo prima, non significa solo “andare a scuola” per imparare con profitto. Di fatto possiamo dire che tutto è educazione: la scuola (sicuramente), la famiglia, le istituzioni laiche e religiose, il mondo dello sport, le compagnie di amici, il tempo libero e qualsiasi altro momento nella vita di ognuno di noi.

Personalmente ritengo che l’educazione, in tutte le sue forme, converge su un punto unico, quello dell’emancipazione umana e sociale. E’ il percorso attraverso il quale ci formiamo attraverso tutta (ma proprio tutta) la nostra vita. Educare significa dotare gli esseri umani (cominciando fin da appena nati) di uno spirito critico che servirà sempre per le scelte e decisioni della nostra vita, facili o meno che possano essere.

Buona parte del percorso educativo, come ben sappiamo, è occupato dalla scuola, una realtà a cui vengono delegate le maggiori mansioni educative e formative. Ma, come altrettanto ben sappiamo, la scuola è, in fin dei conti, una sorta di banco di prova, con luci ed ombre, aspetti positivi e contraddizioni. Normale. Ma le varie esperienze scolastiche sono realtà che lasciano il segno nell’altra realtà, la nostra, la più intima, quella della personalità, del carattere e della coscienza. L’esperienza scolastica, purtroppo, non per tutti è un’esperienza così felicemente lineare e può trasformarsi in una affannosa “corsa ad ostacoli”, durante la quale gli studenti possono correre il rischio di cadere, bloccando così quello sviluppo educativo che l’istituzione scolastica dovrebbe garantire ugualmente a tutti.

Questo diventa il nostro campo di intervento, dove, alla luce delle attività da noi proposte, educare diventa ri-educare, ovvero intervenire là dove il processo si è interrotto.

Io penso che educazione e studio dovrebbero andare di pari passo. Ma non sempre è così. Anche educazione e ascolto, educazione e dialogo, educazione e confronto aperto, educazione e rispetto reciproco, dovrebbero andare di pari passo. E mi fermo qui con l’elenco delle situazioni che dovrebbero andare di pari passo con l’educazione, perché sono praticamente infinite. Quindi, tanto per andare sul pratico quotidiano, quando i genitori accompagnano da noi un figlio dicendo subito come premessa: guardate che non ha assolutamente voglia di studiare, come dovremmo porci di fronte a un caso del genere (che poi rappresenta la maggioranza dei casi)? Come recuperare questa benedetta e fantomatica “voglia di studiare” in chi non ce l’ha o non ce l’ha mai avuta, in chi eventualmente l’ha persa strada facendo? Con la bacchetta magica? Ma chi ce l’ha? Con una medicina da acquistare in farmacia? Ma in quale farmacia e con quale ricetta? No. Occorre invece essere pratici, con i piedi ben saldi a terra, e mettersi a rivedere e analizzare con la dovuta attenzione il percorso scolastico del ragazzo in questione, fare una specie di anamnesi, capire dove è avvenuto il trauma. Perché sicuramente a un certo punto e da qualche parte, dentro o fuori la scuola, si è inciampato in uno dei vari ostacoli e, magari, ci si è fatti anche molto male. Di conseguenza il nostro compito, oltre ad assicurare un servizio di studio sempre attinente ai programmi ministeriali, diventa quello di andare a cercare la “ferita” per sanarla, in modo da poter rimettere in moto la normale propensione alle attività di studio, recuperare l’autostima e favorire un processo di crescita responsabile nei nostri allievi. Facile? No. Semplice? Neppure. Ma si deve tentare, provare e riprovare, finché non si riesce a arrivare ad individuare il punto di rottura, stabilire un contatto e da lì provare a ripartire. Questo è quello che cerchiamo di fare ogni giorno, cioè restituire ai ragazzi un’immagine di se stessi reale, una nuova identità di studenti nella quale possono finalmente specchiarsi senza reticenze, paure o vergogna. Anche se in passato hanno subito dei fallimenti in campo scolastico ora sono di nuovo studenti a tutti gli effetti, come gli altri. E questo, a parer nostro, è un tassello importante di quello che chiamiamo educazione. E il nostro impegno si rivolge ad ogni ragazzo/a considerandolo sempre un caso a sé, perché, in effetti, ognuno di noi esseri umani è sempre, lo si voglia o no, un caso a sé.

Allora (e qui volevo arrivare) educare significa costruire quella sinergia di forze, capillare e importante, fra scuola, ragazzi, famiglie e contorno sociale, al fine di realizzare un piano operativo che possa servire allo scopo. Quale?  Quello di creare nei ragazzi una coscienza responsabile che li aiuti a diventare dei buoni cittadini da inserire nella società civile. Certo, ci sono anche i voti da ottenere, le scadenza scolastiche, gli obiettivi da raggiungere, gli esami da superare a fine anno, diplomi e maturità da conseguire e riguardo a tutto ciò ci impegniamo con tutte le nostre risorse e competenze. Ma mi sento di aggiungere che quello che più ci interessa è che fra vari anni, ormai adulti, i ragazzi di oggi che vengono da noi, possano ricordarsi di noi come di qualcuno che li ha aiutati a crescere e a recuperare qualcosa di importante che per un periodo della loro vita avevano pensato di aver irrimediabilmente perduto. E questo, secondo me, è il punto di forza dell’educazione, tale da permettere, nel tempo, la giusta trasmissione, di generazione in generazione, dei valori di sostegno sociale e morale.

 

Andrea Bini, per il Centro Studi Parini.                                                           Parma 16.04.2020