l’insegnamento a distanza

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l’insegnamento a distanza

“Cara ministra Azzolina, l’insegnamento a distanza non può sostituire la scuola”

 

La lettera di genitori e insegnanti è partita da Firenze ma sta raccogliendo adesioni in tutta Italia. Le preoccupazioni per le incertezze sulla riapertura e anche per gli effetti delle lezioni online

Questo il testo integrale della lettera di un gruppo di genitori, insegnanti, pediatri, psicologi, operatori della scuola, alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina.

Egregia Ministra Lucia Azzolina,

siamo un gruppo di genitori, con figli di varie età, scolare e prescolare, e di insegnanti, di educatori e operatori della scuola, di professionisti che hanno deciso di interpellarLa direttamente. La scuola è stata la prima a chiudere per il Covid-19. Ferma dal 22 febbraio in Lombardia e in Emilia Romagna e progressivamente nel resto d’Italia, sembra anche destinata a essere l’ultima a riaprire, senza clamore: come se si trattasse di questione marginale di fronte alla necessità di far ripartire il Paese.

I bambini, tutti i minorenni, e i loro diritti, sono stati ignorati durante tutta la fase emergenziale dalle istituzioni, e presi in considerazioni solo dopo vibranti proteste e mobilitazioni. Mentre il primo ministro Conte comincia a presentare un’ipotesi di riapertura graduale delle attività lavorative e a parlare di “ripartenza”, manca una chiara informazione istituzionale relativa a condizioni, termini e modalità di riapertura delle scuole

Noi genitori e insegnanti siamo costretti a fare affidamento a voci che paventano non solo la riapertura della scuola unicamente a partire da settembre, ma addirittura una riapertura esclusivamente o parzialmente a distanza.

Una ripartenza con genitori che dovrebbero ancora farsi carico dell’accudimento e/o dell’istruzione primaria dei propri figli è impensabile. Non si può, quindi, sottovalutare il problema e non pensare alle enormi conseguenze che questo avrà sui minori e sull’organizzazione delle famiglie.

A oggi riteniamo che un mese e mezzo di chiusura della scuola abbia chiaramente dimostrato:

“impreparazione digitale” di docenti e alunni, mancanza di infrastrutture pubbliche adeguate (banda larga, piattaforme didattiche digitali, ecc.) e di connessioni domestiche, nonché disomogenea distribuzione tra la popolazione dei dispositivi necessari;

inadeguatezza dell’insegnamento a distanza.

Inoltre dobbiamo registrare:

– che il primo risultato della didattica a distanza è confermare e approfondire le distanze sociali economiche e culturali, in evidente contraddizione con la Costituzione italiana (l’art. 3 impegna la repubblica a rimuovere le disuguaglianze);

– che ci sono gravi e incontestabili conseguenze prodotte dal venir meno della scuola come luogo materiale di rapporti umani, tra coetanei e tra adulti e ragazzi;

– che asili nido e scuole dell’infanzia – che non possono ricadere sotto la voce “didattica a distanza” e sono tuttavia servizi essenziali – sono usciti del tutto dalla discussione pubblica.

Nonostante gli ammirevoli sforzi compiuti dalla grande maggioranza delle persone coinvolte – insegnanti, studenti e genitori – la didattica a distanza non può essere considerata altro che una soluzione di pura emergenza, e riteniamo che non sia accettabile prolungarla oltre l’estate, a meno  che non ci siano evidenze scientifiche tali da costringere a tenere chiuse tutte le attività siano esse economiche, sociali, culturali, sportive o scolastiche.

La didattica a distanza non può sostituire la scuola e – per quanto si possano discutere sfumature e specificità – questo vale per tutti gli ordini e gradi di istruzione. Per i gradi della scuola dell’obbligo poi, l’unico risultato certo è lasciare ancora più indietro ampie fasce della popolazione.

Inoltre la didattica a distanza non è idonea in assenza di un sostegno adeguato da parte di un adulto almeno per le fasce di età dei bambini più piccoli e per i bambini con difficoltà di apprendimento.

Infine la scuola dell’infanzia e primaria sono istituzioni educative che strutturano un primo fondamentale momento di relazione sociale continuativa e organizzata fra gli esseri umani.

A questa esperienza formativa di socializzazione, è stata sostituita la solitudine della didattica e dell’apprendimento a distanza: ciò significa privare le nuove generazioni di questo insostituibile patrimonio di educazione alla socialità e alla cittadinanza e può essere tollerata solo come extrema ratio temporanea.

La ripresa da parte dei genitori della propria attività lavorativa impedirà a molti di essi la cura e l’assistenza – anche quella didattica, indispensabile per le prime classi elementari – ai propri figli minori.

In questa prospettiva sorge per le famiglie la preoccupazione di dover far fronte a un vero e proprio abbandono dei figli per gran parte della giornata, tenuto anche conto che moltissime famiglie non potranno più fare affidamento sulla presenza e sull’aiuto dei nonni (fascia di popolazione maggiormente esposta a rischio Covid) e che il costo di una babysitter per tutto il corso della giornata sarebbe per molti insostenibile, nonostante i voucher promessi.

L’estate sarà la prima prova: di fronte alla ripresa delle attività lavorative auspicata da tutti, c’è la concreta possibilità che manchino attività di supporto alle famiglie come i centri estivi. Anche su questo registriamo per il momento la totale assenza di informazioni e indicazioni.

In caso di figli molto piccoli, per chi fosse ancora costretto allo smartworking, neppure la presenza di una babysitter assicurerebbe in ogni caso efficiente ripresa. Inevitabilmente molti genitori – soprattutto madri di bambini non ancora autosufficienti, nei bisogni primari o anche solo nella didattica – saranno indotti a rinunciare al proprio lavoro, o ad accantonarlo, proprio per non far venir meno l’assistenza ai propri figli.

Guardando ai nostri vicini europei, il diritto all’istruzione compare come una priorità dei governi, all’interno di una visione articolata e complessiva per la gestione dell’emergenza, che si sforza di tenere insieme le esigenze di sicurezza sanitaria, di contenimento del contagio, di salute psico-fisica della popolazione, di ripresa delle attività economiche, scolastiche e sociali. Il contrario di quello a cui stiamo assistendo in Italia, alla luce della comunicazione istituzionale e dall’agenda politica sbandierata.

In Danimarca, l’idea del governo è che per riprendere una vita normale, chiedendo ai genitori di tornare a lavorare, è necessario che i bambini e i ragazzi tornino in classe. Il governo di Copenhagen è pronto a innestare la retromarcia nel caso in cui il numero dei contagi, ora basso, dovesse crescere di nuovo.

Dal 20 aprile in Norvegia riaprono asili nido e dal 27 aprile le scuole primarie. In Spagna, la settimana scorsa si è riunita la commissione che si occupa dell’emergenza e l’indicazione data è di provare con aperture scaglionate, diverse da regione a regione a seconda della condizione epidemiologica, a partire da maggio.

In Francia il ministro dell’Istruzione Michel Blanquer ha dichiarato che l’apertura delle scuole sarà progressiva dall’11 maggio seguendo un criterio sociale, aprendo cioè le scuole nelle zone socialmente più difficili.

In Germania l’accademia delle scienze nazionale, l’Accademia Leopoldina, ha raccomandato un graduale allentamento delle restrizioni dal 4 maggio. È notizia di queste ore che verrà data priorità agli studenti che stanno completando il loro ciclo (superiori, medie e anche elementari).

Alla luce di tutto questo, riteniamo sia doveroso da parte Sua adoperarsi, al pari dei suoi colleghi europei, per garantire il diritto all’istruzione iniziando da subito a pensare, a progettare e organizzare la ripresa delle attività scolastiche in presenza (almeno a settembre e anche prima dell’estate, per i più piccoli).

È necessario che fornisca un’informazione tempestiva, chiara e costantemente aggiornata circa il lavoro di programmazione che il governo sta svolgendo sul tema e circa le modalità che dovranno essere assunte per la riapertura di tutte le scuole – dai nidi alle secondarie – , in sicurezza: pensiamo a test sierologici per bambini e ragazzi, a turni ridotti e differiti, all’eliminazione dei momenti di assembramento, a supplenze extra per sostituire il personale più a rischio, all’ottimizzazione nell’uso dello spazio nelle aule in rapporto al numero di studenti, alla regolarizzazione dei docenti precari, all’assunzione di più personale, alla sanificazione degli ambienti, alla conversione a uso scolastico di edifici inutilizzati e di scuole precedentemente chiuse, alla riapertura delle scuole differenziata su base regionale, in relazione alle diverse situazioni sociali ed epidemiologiche.

Sono misure che richiedono un enorme lavoro di organizzazione – che deve tenere conto di una catena di problemi che va dall’uscita di casa e dall’entrata a scuola, fino alla gestione dell’uscita e del rientro a casa intrecciandosi con altre attività e servizi, a cominciare dal trasporto pubblico. Devono perciò essere pensate, programmate e finanziate già da ora.

Se il governo continuerà a rimandare ancora la discussione e la pianificazione sulla scuola, per molti mesi si continuerà a privare del diritto all’istruzione intere generazioni di studenti.

Riteniamo comunque che la gradualità delle aperture, imposta dalle esigenze sanitarie ma anche da quelle di graduazione delle esigenze dei minori e delle famiglie, consentirebbe di pianificare sin dalle prossime settimane – al pari o quasi degli altri paesi europei parimenti colpiti – la riapertura dei servizi educativi almeno alla prima infanzia (l’anno scolastico per asili e scuole dell’infanzia non si chiude il 10 giugno, ma alla fine del mese, protraendosi in certi casi anche in luglio) e (almeno delle prime classi) delle scuole primarie. Per i più piccoli, anche un breve passaggio in aula sarebbe importante.

Sentiamo quindi il bisogno di protestare perché, invece di considerare la scuola come una delle priorità, in una visione organica complessiva dell’emergenza sanitaria in atto, e di attivarsi concretamente per la sua riapertura in sicurezza, così come succede in altri paesi europei e non solo, si continua a ribadire il perdurare dello stato di fatto circa la chiusura della scuola senza offrire ai cittadini informazioni e prospettive chiare.

È compito della politica garantire il diritto alla salute nel saggio bilanciamento di tutti gli altri diritti dei cittadini, fra i quali quello all’istruzione, per primo, non può, e non deve, essere totalmente (e neppure parzialmente) sacrificato.

È per noi inaccettabile che si continui a proporre una visione e soluzioni parziali e settoriali. Non è possibile considerare come unica soluzione quella della didattica a distanza, senza peraltro considerarne adeguatamente le ricadute sulla vita dei minori e delle loro famiglie, e senza considerare le problematiche organizzative e di gestione che questa genera.

Riteniamo tutto ciò gravissimo, tanto più se, guardando agli altri paesi con numeri simili ai nostri in termini di contagi e di decessi, si scopre che per loro la scuola è, insieme ad altre, una delle priorità, tenendo anche conto che sono ormai molti gli studi scientifici che attestano la sproporzione tra i vantaggi di un lockdown prolungato e i danni e i rischi che può produrre sulla popolazione e in particolare su bambini e adolescenti.

In conclusione, ci rivolgiamo a Lei, Ministra Azzolina, affinché si lavori da subito per costruire un piano per la riapertura di asili e scuole che sia adeguato ai bisogni dei bambini e degli adolescenti, che sono tra i soggetti più fragili in questa emergenza sanitaria, e a sostegno delle famiglie e dei genitori.

Chiediamo, inoltre, che il piano di intervento e finanziamento per l’anno scolastico 2020-2021, perdurando il momento dell’emergenza, voglia impedire un danno alla scuola pubblica.

Certi che comprenda questa situazione e la nostra preoccupazione, in attesa di un riscontro.

 

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RIFLESSIONE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

RIFLESSIONE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

 

Siamo indubbiamente in un periodo di emergenza. Per la maggior parte viviamo isolati, confinati nelle nostre abitazioni. Si tratta di una situazione che sta mettendo a dura prova le nostre capacità di resistenza, di reazione, di pazienza e di adattamento.

Anche noi del Centro Studi Parini siamo stati costretti, in merito alle nostre abituali attività, ad adattarci al cambiamento. Abbiamo chiuso i nostri locali, bloccato le normali lezioni e corsi, avviato un nuovo tipo di attività didattica. Questo dal 25 febbraio. Un’emergenza non facile da affrontare, così, nell’immediato, ma abbiamo cercato di fare del nostro meglio, per quanto possibile. Io, come del resto i miei colleghi, Rosaria, Marilena, Massimo, siamo abituati al contatto diretto, quotidiano, con i ragazzi, i genitori, gli insegnanti, e questo contatto, inutile dirlo, oggi ci manca.

Ma questo isolamento può anche essere vissuto come un’occasione di riflessione riguardo quello che facciamo, come lo facciamo e perché.

E visto che il Centro studi, in quanto cooperativa sociale, fin dagli inizi ha cercato di dare un senso e un valore prettamente sociale alle proprie attività, ovvero aiutare chiunque fosse in difficoltà con il proprio percorso scolastico, aiutandolo a recuperarlo e risolverlo, vorrei approfittare di questo spazio per fare alcune considerazioni riguardo al senso e significato dell’educazione.

Premesso che l’educazione non si limita alle sole attività di carattere scolastico, occorre dire che educazione è sempre stata una parola di cui spesso si abusa. Educazione, come anche accennavo prima, non significa solo “andare a scuola” per imparare con profitto. Di fatto possiamo dire che tutto è educazione: la scuola (sicuramente), la famiglia, le istituzioni laiche e religiose, il mondo dello sport, le compagnie di amici, il tempo libero e qualsiasi altro momento nella vita di ognuno di noi.

Personalmente ritengo che l’educazione, in tutte le sue forme, converge su un punto unico, quello dell’emancipazione umana e sociale. E’ il percorso attraverso il quale ci formiamo attraverso tutta (ma proprio tutta) la nostra vita. Educare significa dotare gli esseri umani (cominciando fin da appena nati) di uno spirito critico che servirà sempre per le scelte e decisioni della nostra vita, facili o meno che possano essere.

Buona parte del percorso educativo, come ben sappiamo, è occupato dalla scuola, una realtà a cui vengono delegate le maggiori mansioni educative e formative. Ma, come altrettanto ben sappiamo, la scuola è, in fin dei conti, una sorta di banco di prova, con luci ed ombre, aspetti positivi e contraddizioni. Normale. Ma le varie esperienze scolastiche sono realtà che lasciano il segno nell’altra realtà, la nostra, la più intima, quella della personalità, del carattere e della coscienza. L’esperienza scolastica, purtroppo, non per tutti è un’esperienza così felicemente lineare e può trasformarsi in una affannosa “corsa ad ostacoli”, durante la quale gli studenti possono correre il rischio di cadere, bloccando così quello sviluppo educativo che l’istituzione scolastica dovrebbe garantire ugualmente a tutti.

Questo diventa il nostro campo di intervento, dove, alla luce delle attività da noi proposte, educare diventa ri-educare, ovvero intervenire là dove il processo si è interrotto.

Io penso che educazione e studio dovrebbero andare di pari passo. Ma non sempre è così. Anche educazione e ascolto, educazione e dialogo, educazione e confronto aperto, educazione e rispetto reciproco, dovrebbero andare di pari passo. E mi fermo qui con l’elenco delle situazioni che dovrebbero andare di pari passo con l’educazione, perché sono praticamente infinite. Quindi, tanto per andare sul pratico quotidiano, quando i genitori accompagnano da noi un figlio dicendo subito come premessa: guardate che non ha assolutamente voglia di studiare, come dovremmo porci di fronte a un caso del genere (che poi rappresenta la maggioranza dei casi)? Come recuperare questa benedetta e fantomatica “voglia di studiare” in chi non ce l’ha o non ce l’ha mai avuta, in chi eventualmente l’ha persa strada facendo? Con la bacchetta magica? Ma chi ce l’ha? Con una medicina da acquistare in farmacia? Ma in quale farmacia e con quale ricetta? No. Occorre invece essere pratici, con i piedi ben saldi a terra, e mettersi a rivedere e analizzare con la dovuta attenzione il percorso scolastico del ragazzo in questione, fare una specie di anamnesi, capire dove è avvenuto il trauma. Perché sicuramente a un certo punto e da qualche parte, dentro o fuori la scuola, si è inciampato in uno dei vari ostacoli e, magari, ci si è fatti anche molto male. Di conseguenza il nostro compito, oltre ad assicurare un servizio di studio sempre attinente ai programmi ministeriali, diventa quello di andare a cercare la “ferita” per sanarla, in modo da poter rimettere in moto la normale propensione alle attività di studio, recuperare l’autostima e favorire un processo di crescita responsabile nei nostri allievi. Facile? No. Semplice? Neppure. Ma si deve tentare, provare e riprovare, finché non si riesce a arrivare ad individuare il punto di rottura, stabilire un contatto e da lì provare a ripartire. Questo è quello che cerchiamo di fare ogni giorno, cioè restituire ai ragazzi un’immagine di se stessi reale, una nuova identità di studenti nella quale possono finalmente specchiarsi senza reticenze, paure o vergogna. Anche se in passato hanno subito dei fallimenti in campo scolastico ora sono di nuovo studenti a tutti gli effetti, come gli altri. E questo, a parer nostro, è un tassello importante di quello che chiamiamo educazione. E il nostro impegno si rivolge ad ogni ragazzo/a considerandolo sempre un caso a sé, perché, in effetti, ognuno di noi esseri umani è sempre, lo si voglia o no, un caso a sé.

Allora (e qui volevo arrivare) educare significa costruire quella sinergia di forze, capillare e importante, fra scuola, ragazzi, famiglie e contorno sociale, al fine di realizzare un piano operativo che possa servire allo scopo. Quale?  Quello di creare nei ragazzi una coscienza responsabile che li aiuti a diventare dei buoni cittadini da inserire nella società civile. Certo, ci sono anche i voti da ottenere, le scadenza scolastiche, gli obiettivi da raggiungere, gli esami da superare a fine anno, diplomi e maturità da conseguire e riguardo a tutto ciò ci impegniamo con tutte le nostre risorse e competenze. Ma mi sento di aggiungere che quello che più ci interessa è che fra vari anni, ormai adulti, i ragazzi di oggi che vengono da noi, possano ricordarsi di noi come di qualcuno che li ha aiutati a crescere e a recuperare qualcosa di importante che per un periodo della loro vita avevano pensato di aver irrimediabilmente perduto. E questo, secondo me, è il punto di forza dell’educazione, tale da permettere, nel tempo, la giusta trasmissione, di generazione in generazione, dei valori di sostegno sociale e morale.

 

Andrea Bini, per il Centro Studi Parini.                                                           Parma 16.04.2020