Bullismo? La parola agli studenti

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Bullismo? La parola agli studenti

Bullismo? La parola agli studenti

 

Il confronto in diretta video tra lo scrittore Paolo Di Paolo e una delle migliaia di classi che partecipano a Repubblica@Scuola: “Abbiamo visto le immagini violente – dicono i ragazzi del liceo Azuni di Sassari – ma quello che chiediamo è che la scuola insegni a rispettare gli altri”. Tra il ruolo degli insegnanti e l’invadenza dei genitori

di CARMELO LEO

 

Bullismo? La parola agli studenti che diventano aguzzini dei propri coetanei o travalicano i ruoli per mortificare i loro insegnanti. Genitori che puntano il dito contro i docenti. E sullo sfondo i cellulari, che danno risonanza mediatica a ogni fatto. I recenti gravi casi, a Lucca e in tante altre città, alimentano il dibattito sul fenomeno del bullismo in Italia. Tra chi pensa che comportamenti del genere siano una conseguenza del ceto di provenienza e chi, invece, analizza le violenze in modo trasversale, legandole ai rapporti degli studenti con genitori e insegnanti. Una discussione spesso raccontata da adulti per altri adulti, senza interpellare i ragazzi. E’ appunto per questo che Repubblica ha pensato di mettere a confronto proprio i ragazzi con alcuni degli intellettuali che in questi giorni hanno riflettuto sul tema.
Momenti di imbarazzo, poi uno rompe la prudenza e, in un certo senso, accusa: “La scuola oggi sta diventando una caricatura, viene rappresentata così. Nel senso che se ne enfatizzano solo i lati negativi. Il problema esiste, ma non bisogna mai generalizzare. Non c’è mai stato bullismo nella nostra classe, ad esempio”. Ma cos’è il bullismo? Non è solo trasgredire le regole civili, spiega Di Paolo, ma far sì che ciò scaturisca in violenza, o in contrasti forti che rendono difficile stabilire relazioni all’interno di un gruppo. Allora, si scopre, che forse il bullismo è qualcosa di più della mera violenza, e che anche un approccio verbale può rientrare in quella categoria.
“Io in questi anni di scuola – interviene Claudia – ho imparato di più con le relazioni sociali che con lo studio vero e proprio. E ho capito che il rispetto non passa solo dalla forma, dal dare del ‘lei’ ai docenti”. Per questo, spiega la ragazza, quando uno studente intima al suo insegnante di inginocchiarsi, non è il gesto di travalicare il ruolo dell’insegnante ad essere bullismo. Ma il mancare di rispetto ad un altro essere umano.

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La scuola, dunque, come microcosmo che fornisce conoscenze ma anche strumenti per costruire rapporti con gli altri. Una responsabilità che grava, in gran parte, sulle spalle dei professori. A volte considerati troppo autoritari e fuori dal tempo, altre eccessivamente permissivi: “La scuola sta soffrendo – ammette in aula il professor Altana – e sta venendo meno soprattutto il rapporto tra noi docenti. Una volta eravamo più disponibili tra di noi, ci incontravamo nei corridoi e parlavamo dei ragazzi, dei loro progressi e dei loro problemi. Ora discorsi del genere vengono affrontati solo nei consigli di classe”.

Sempre più informati sull’andamento degli studenti, invece, sono i genitori. Che spesso incolpano i professori di quello che accade tra le mura scolastiche. Sia per proteggere i figli, ma anche perché un brutto voto al ragazzo viene vissuto come una bocciatura indiretta al genitore: “Spesso inoltre – interviene un altro studente – i comportamenti dei genitori sono legati alla paura che il proprio figlio venga bullizzato per i suoi brutti voti”. Un’invadenza, la loro, che però svilisce il ruolo dell’educatore: “Un insegnante può sbagliare – conclude Di Paolo – ma mettere in discussione la sua autorevolezza ha solo conseguenze negative”.

 

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Un diplomato su due ammette: “Ho sbagliato scuola”

Un diplomato su due ammette: “Ho sbagliato scuola”

 

Non calano i pentiti della scelta fatta a 14 anni dell’istituto o dell’indirizzo di studi. Indagine AlmaDiploma su 80mila ragazzi usciti dalle superiori nel 2016 e 2014

di ILARIA VENTURI

 

Sarà per una scelta prematura, da fare a 13-14 anni, o per l’orientamento che ancora non funziona come dovrebbe. Ma si conferma la fatica dei ragazzi nell’individuare la scuola superiore o l’indirizzo “giusto” per loro. Interpellati poco prima della Maturità quasi uno su due (45%) dichiara di aver sbagliato. Dopo un anno, gli stessi ragazzi si dicono pentiti della scelta nel 42% dei casi. E’ il nuovo Rapporto 2018 redatto da AlmaDiploma sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati a dirlo. L’indagine ha riguardato circa 80 mila diplomati del 2016 e del 2014 intervistati rispettivamente a uno e tre anni dal conseguimento del titolo. Ne esce la fotografia dei diplomati rispetto all’esperienza scolastica compiuta e al futuro che li aspetta tra università – scelta dal 70% – e lavoro.

“La transizione post diploma pone il ragazzo di fronte a problematiche complesse: la conoscenza di sé, il possesso delle informazioni indispensabili sull’università e sul mondo del lavoro – spiega Mauro Borsarini, presidente di AlmaDiploma – Proprio per questo diventa fondamentale mettere in atto delle politiche di orientamento che supportino i giovani sia nella scelta dell’università che nel loro ingresso nel mercato del lavoro”. L’indagine, continua, “permette alle scuole di acquisire elementi per poter valutare l’efficacia esterna del proprio curriculum di studi, delle proprie metodologie di insegnamento e della propria progettazione educativa e didattica”.

· LA SCUOLA? “SE POTESSI TORNARE INDIETRO CAMBIEREI”
“La famiglia e gli insegnanti della scuola secondaria di primo grado esercitano un ruolo di fondamentale importanza nella scelta del percorso da compiere”, si legge nel Rapporto. È probabilmente per tali ragioni, dunque, che alla vigilia della conclusione degli studi il 55% dei diplomati del 2016 dichiara che, potendo tornare indietro, sceglierebbe lo stesso corso nella stessa scuola, mentre il restante 45% compierebbe una scelta diversa: oltre un quarto cambierebbe sia scuola sia indirizzo, il 12% ripeterebbe il corso ma in un’altra scuola, l’8% sceglierebbe un diverso indirizzo nella stessa scuola. Intervistati a un anno dall’esame di Satto chi replicherebbe esattamente il percorso scolastico sale al 57%. Ma rimane il 27% che cambierebbe sia scuola che indirizzo. I meno convinti risultano quelli degli istituti professionali e il malcontento cresce a un anno dal diploma.

Un diplomato su due ammette: "Ho sbagliato scuola"

A sinistra i ragazzi intervistati prima del diploma, a destra ad un anno dal diploma (fonte AlmaDiploma)

· DOPO IL DIPLOMA IL 67% SI ISCRIVE ALL’UNIVERSITA’
I diplomati del 2016 iscritti all’università, dopo un anno, sono il 67%. La quota di diplomati dediti esclusivamente allo studio universitario è nettamente più elevata tra liceali (68%) rispetto ai diplomati del tecnico (37%) e del professionale (18%). Rimane assai elevata, ancora dopo tre anni dal diploma – racconta il rapporto – la quota di liceali che studia – esclusivamente – all’università: 62%, contro il 32% del tecnico e il 13% del professionale.? Erano già convinti tra i banchi della scuola secondaria di secondo grado di volerla fare? Sì. Alla vigilia dell’esame di Stato, infatti, l’86% di coloro che aveva dichiarato di volersi iscrivere all’università ha successivamente confermato le proprie intenzioni. All’opposto, l’8% ha cambiato idea.? Il contesto socio-economico e culturale familiare influenza nettamente la scelta. Fra i diplomati del 2016 appartenenti a contesti più favoriti è nettamente più frequente l’iscrizione all’università (79% contro 53% dei giovani provenienti da famiglie meno favorite). Anche il titolo di studio dei genitori ha un peso nelle scelte formative dei giovani: l’84% dei diplomati provenienti da famiglie in cui almeno un genitore è laureato ha deciso di iscriversi all’università. “La scelta delle famiglie di supportare la prosecuzione degli studi – dice il rapporto – è influenzata dalle difficoltà economiche e occupazionali vissute e, in molti casi, chi può fa proseguire gli studi rinviando l’ingresso nel mercato del lavoro”.

· I DIPLOMATI AL LAVORO: PRECARI E STIPENDI DA MILLE EURO
Ad un anno dal conseguimento del titolo, escludendo quanti sono impegnati in attività formative retribuite, risultano occupati 35 diplomati su cento: tra questi 16 hanno scelto di frequentare l’università lavorando. Come era naturale attendersi, questa percentuale raggiunge il suo massimo in corrispondenza dei diplomati professionali (47%) e dei tecnici (42%) mentre tocca il minimo tra i liceali (27%). A tre anni dal titolo sono occupati 46 diplomati (di cui il 18% è impegnato sia nello studio che nel lavoro). Tra i diplomati del 2014, tale quota raggiunge il suo massimo in corrispondenza dei diplomati professionali (69%) e tecnici (56%), mentre tocca il minimo tra i liceali (32%). La disoccupazione coinvolge 20 diplomati su cento ad un anno; una quota significativa che raggiunge il 23% dei diplomati professionali, i più pronti ad inserirsi nel mercato del lavoro. ?Il tasso di disoccupazione, a tre anni dal titolo, scende al 13%. I diplomati che lavorano a tempo pieno hanno per lo più contratti a termine e guadagnano in media, a un anno dal diploma, 1.043 euro mensili netti e a tre anni 1.169 euro.

· ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO COINVOLGE IL 61%
Il rapporto dedica uno specifico approfondimento all’alternanza scuola-lavoro. Dall’Indagine emerge che il 61% dei diplomati dichiara che il percorso didattico concluso prevedeva tali tipi di esperienze che – come ci si poteva attendere – risultano particolarmente diffuse negli istituti professionali (il 91% dei diplomati dichiara che il progetto era previsto) e nei tecnici (86%); riguardano solo in minima parte i licei (40%). L’alternanza scuola-lavoro “non sembra essere un’esperienza isolata, che termina con il diploma – spiega l’indagine – ma spesso si traduce in un rapporto di lavoro con l’azienda presso cui lo studente ha svolto i periodi lavorativi previsti dal progetto”.

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L’università perde professori e ricercatori

L’università perde professori e ricercatori: in sette anni quasi cinquemila in meno.

L’università perde professori e ricercatori, sempre meno toghe. E sempre più precarie: assegnisti di ricerca e docenti a contratto. , s L’università italiana ha perso per strada in sette anni 4.650  professori e ricercatori (il 7,9%): erano 58.885 nel 2010-11, sono 54.235 nel 2016-17. In particolare, diminuiscono di quasi un quinto gli ordinari (da 15.169 a 12.156) e i ricercatori (da 24.530 a 19.737), mentre per effetto del piano straordinario, con le tornate di abilitazioni degli ultimi anni, gli associati segnano un più 16,7%. Insomma il blocco del turnover, che negli anni passati ha frenato il reclutamento negli atenei, si è fatto sentire e i numeri lo dimostrano. In compenso salgono i titolari di assegni di ricerca, studiosi precari con contratti rinnovabili sino a 4 anni: sono cresciuti da 13.109 nel 2010-11 a 13.946 nel 2016-17 (+6,4%). In generale, tenendo conto anche di questo balzo in avanti degli assegnisti, i ricercatori arrivano così a superare i professori ordinari e associati: i primi salgono al 28,1%, gli altri si fermano al 26,2%. È la fotografia scattata dal ministero nel Focus sul personale docente e non docente nel sistema universitario italiano appena pubblicato e che riguarda l’anno accademico 2016-2017.

· POCHE DONNE IN TOGA E QUASI 26MILA DOCENTI A CONTRATTO
Rispetto al 2010-11 la consistenza del personale universitario, pari a 125.600 dipendenti tra docenti e amministrativi, è diminuita del 6,5%. La riduzione coinvolge i professori (-7,9%), i collaboratori linguistici (-7,8%) e il personale tecnico amministratvio (-7,5% a tempo indeterminato; -13,8% a tempo determinato). A questi vanno aggiunti 25.770 docenti, non di ruolo, titolari di contratti di insegnamento nei corsi universitari.

Le differenze di genere si fanno sentire. Se le donne costituiscono più della metà del personale tecnico-amministrativo (58,5%), tra i docenti e ricercatori la loro presenza scende al 40%. Ed è soprattutto ai vertici della carriera accademica che le donne sono poco rappresentate. Nulla di nuovo sotto il sole: le dirigenti sono il 40%. Per le docenti il rapporto parla di “segregazione verticale”: la loro presenza diminuisce al progredire della carriera. Infatti, la percentuale di donne supera seppur di poco la metà tra i titolari di assegni di ricerca (50,7%), raggiunge quasi il 47% tra i ricercatori e, via via, si riduce al 37,2% tra i professori associati ed al 22,3% tra gli ordinari. Tale situazione, precisa il Miur, è abbastanza comune e diffusa anche in altri paesi europei: la percentuale di donne afferenti al Grade A, corrispondente alla posizione di full professor (professori ordinari per l’Italia), in Europa è pari a circa il 21%.

L'università perde professori e ricercatori: in sette anni quasi cinquemila in meno

Fonte Miur

· LA PIRAMIDE ACCADEMICA. ETA’ MEDIA? 52 ANNI
Il mondo accademico, formato da 64.321 unità nelle università statali, si conferma a forma di piramide. I professori ordinari, che sono il 18,9%, rappresentano il vertice. Chi svolge quasi esclusivamente attività di ricerca (titolari di assegni e ricercatori) forma la base: sono il 51,6%. La distribuzione degli accademici per settori scientifico-disciplinari non è omogenea: in percentuale, il maggior numero di docenti e ricercatori afferisce all’area delle Scienze mediche (16,3%) mentre appena il 2% afferisce all’area Scienze della terra. La composizione di ciascuna area per qualifica evidenzia, inoltre, che nelle aree di Scienze giuridiche e di Scienze economiche e statistiche circa il 57% del personale docente e ricercatore è costituito da professori ordinari ed associati, mentre ai Scienze biologiche i ricercatori ed i titolari di assegni di ricerca rappresentano poco più del 60% del personale. L’età media? È pari a 52 anni: si va dai 59 anni dei professori ordinari, ai 52 anni dei professori associati fino ai quasi 47 anni dei ricercatori. Includendo anche i titolari di assegni di ricerca l’età media complessiva scende a 48 anni.

 

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Rinnovo contratto scuola

Rinnovo contratto scuola, dopo nove anni firmato nuovo contratto nazionale: aumento stipendio di 85 euro

Riguarda un milione di addetti ai lavori: docenti e Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) e comprende gli addetti dell’università e della ricerca

Sono circa 200mila gli addetti dell’Alta formazione artistica e musicale (Afam), i ricercatori, i tecnologi, i tecnici e gli amministrativi degli Enti di ricerca e delle università.Per i docenti della scuola, “gli aumenti salariali – spiegano i sindacati – sono in linea con quanto stabilito dalle confederazioni con l’accordo del 30 novembre 2016; da un minimo di 80,40 euro a un massimo di 110,70 euro”. E resta, per le fasce retributive più basse, il bonus fiscale di 80 euro.
“Nessun aumento – puntualizzano i rappresentanti dei lavoratori – di carichi e orari di lavoro, nessun arretramento per quanto riguarda le tutele e i diritti nella parte normativa, nella quale al contrario si introducono nuove opportunità di accedere a permessi retribuiti per motivi personali e familiari o previsti da particolari disposizioni di legge”.
Il bonus per il merito, che ha creato tantissime divisioni all’interno delle scuole in passato, non verrà più distribuito interamente dai dirigenti scolastici ma confluirà in parte (il 70 per cento il primo anno e a decrescere negli anni successivi) nelle tasche degli insegnanti attraverso gli aumenti di stipendio e la restante parte (il 30 per cento, sempre il primo anno) verrà assegnato sempre dai capi d’istituto ma in base alle regole contrattate a livello di istituzione scolastica.
La questione delle sanzioni disciplinari, che ha tenuto in sospeso la conclusione dell’accordo, viene rinviata ad una successiva tornata contrattuale.Mentre la mansione di tutor dell’alternanza scuola-lavoro sarà obbligatoria ma “incentivata” e cioè retribuita a parte.
Verranno mantenuti all’interno del borsellino elettronico i 500 euro per la formazione degli insegnanti per l’acquisti di computer, tablet e corsi di formazione.
Accolta la richiesta da parte degli insegnanti che non riceveranno più e-mail e messaggi anche di notte per riunioni o comunicazioni: il nuovo contratto prevede “il diritto alla disconnessione, a tutela della dignità del lavoro, messo al riparo dall’invasività delle comunicazioni affidate alle nuove tecnologie”, spiegano i sindacati.
Sempre per i docenti della scuola, le riunioni pomeridiane (consigli di classe, collegi dei docenti, ricevimenti dei genitori) passano da 40 ore più 40 ore a 80 complessive.
La formazione in servizio diventa obbligatoria, ma sarà il Collegio e la contrattazione scolastica a stabilire il monte ore complessivo annuale. “Il contratto – commentano Flc Cgil, Cisl e Uil – segna una svolta significativa sul terreno delle relazioni sindacali, riportando alla contrattazione materie importanti come la formazione e le risorse destinate alla valorizzazione professionale. Rafforzati tutti i livelli di contrattazione, a partire dai luoghi di lavoro, valorizzando in tal modo il ruolo delle Rsu (la Rappresentanza sindacale unitaria del singolo istituto) nell’imminenza del loro rinnovo”.
Il contratto appena sottoscritto, che vale per il triennio 2016/2018, scadrà il prossimo mese di dicembre. E già si pensa a quello successivo. “Siamo andati oltre, riuscendo a garantire aumenti superiori a quelli previsti, con l’obiettivo di dare – commenta soddisfatta la ministra Valeria Fedeli – il giusto e necessario riconoscimento professionale ed economico alle nostre lavoratrici e ai nostri lavoratori”. Ecco, nello specifico gli aumenti che dovrebbero scattare a marzo o aprile: 96 euro in media al mese per i docenti delle scuole e 105 euro al mese per i colleghi dell’Afam. “Per gli ATA delle scuole – calcolano al Miur – l’incremento medio è di 84,5 euro (si va da un minimo di 80 a 89 euro), per l’università di 82 euro, per ricercatori e tecnologi di 125 euro, per l’area amministrativa della ricerca di 92 euro, per l’ASI di 118 euro. Salvaguardato, per le fasce retributive più basse, il bonus di 80 euro”.
Ma non solo aumenti. Sono previste “Misure disciplinari – annunciano da viale Trastevere – per chi usa in modo improprio, ovvero con fini non coerenti con l’obiettivo dell’istruzione, della formazione e dell’orientamento, i canali di comunicazione informatici o i social per relazionarsi con gli studenti”. Entro luglio è previsto il rinnovo del codice etico.
E per i docenti che violassero la fiducia accordata dalle famiglie, “mettendo in atto comportamenti o molestie di carattere sessuale nei confronti dei loro alunni” è previsto il licenziamento.
Per le università, “si prevedono misure innovative per il personale che lavora nelle Aziende ospedaliere nonché per i collaboratori ed esperti linguistici, risolvendo alcune questioni rimaste aperte da tempo e mai risolte.
Per gli Enti di ricerca si confermano le forti specificità per il ruolo e per l’importanza che rivestono i ricercatori e tecnologi per la crescita e l’evoluzione del sistema Paese.
E per il personale Afam si prevede che il ruolo di professore di seconda fascia divenga ad esaurimento, puntando a un modello che vede il passaggio verso la prima fascia e fatte salve le graduatorie esistenti”, concludono dal ministero.

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Scuola, altolà di Fedeli: “Inaccettabili le pubblicità classiste dei licei”

Scuola, altolà di Fedeli: “Inaccettabili le pubblicità classiste dei licei”

L’intervento della ministra dopo la denuncia di “Repubblica” sugli istituti che presentano come un vantaggio l’assenza fra gli alunni di poveri, disabili e stranieri. “Così si viola la Costituzione e si nega la nostra vocazione all’accoglienza. Ho chiesto un monitoraggio all’Invalsi, prenderemo provvedimenti”

Le scuole che, per attrarre studenti, “descrivono come un vantaggio l’assenza di stranieri o di studenti provenienti da zone svantaggiate o di condizione socio-economica e culturale non elevata” violano i principi della Costituzione e travisano completamente il ruolo della scuola.  A dirlo è la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, dopo la denuncia di “Repubblica” che ha raccontato come molti licei, da Milano a Roma, presentino come propri punti di forza (che favoriscono “la coesione” e “l’apprendimento”) proprio l’assenza tra gli alunni di ragazzi di origine straniera, poveri e disabili.

Accade sul portale istituzionale “Scuola in chiaro”, dove ogni istituto pubblica il proprio Rav (Rapporto di autovalutazione): uno strumento nato per aiutare ragazzi e famiglie a scegliere la scuola confrontando le diverse opzioni. Diversi i casi citati da “Repubblica”: “Tranne un paio, gli studenti sono italiani e nessuno è disabile”, scrive ad esempio il classico romano Visconti. Mentre il genovese D’Oria sottolinea come l’assenza di “gruppi particolari” (ad esempio nomadi) offra ai ragazzi un “background favorevole”. “Non posso che stigmatizzare – spiega la ministra – il linguaggio utilizzato da alcuni istituti”. Così “si fa un passo indietro rispetto a una delle caratteristiche fondanti della scuola italiana: la capacità di inclusione e integrazione, riconosciuta anche a livello internazionale. E si nega di fatto l’articolo 3 della Costituzione” (‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge’, ndr).

La scuola di cui abbiamo bisogno, spiega Fedeli, è “inclusiva, capace di rispettare e valorizzare le differenze. Una scuola dove nessuno si senta escluso e dove tutti i ragazzi possano (indipendentemente da provenienza e condizioni) essere formati a diventare cittadini consapevoli. Perciò, conclude la ministra,  “scriverò oggi stesso all’Invalsi (l’istituto nazionale di valutazione, ndr)  perché faccia immediatamente un attento monitoraggio dei Rav in riferimento a questo tipo di episodi. L’autonomia delle scuole è sacra. Ma ci sono principi irrinunciabili cui tutti dobbiamo ispirarci”. Invece, “leggendo

certe espressioni sembra che qualcuno li abbia dimenticati. Alcune frasi appaiono gravi, persino classiste. Non sono tollerabili e prenderemo provvedimenti”. Tanto più, avverte, che proprio il Rav “rientra fra gli strumenti di valutazione” delle scuole e dei presidi.

 

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esami maturità
Maturità 2018

Maturità 2018, annunciate le materie della seconda prova.

 

Maturità 2018, annunciate le materie della seconda prova Matematica allo Scientifico, Greco al Classico
La Ministra Fedeli firma il decreto Torna #NoPanic, l’iniziativa del Miur dedicata all’Esame

 

Maturità 2018 ,Greco per il Liceo classico, Matematica per lo Scientifico, Scienze umane  per il Liceo delle Scienze umane, Economia aziendale per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing degli Istituti tecnici, Scienza e cultura dell’alimentazione per l’indirizzo Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera degli Istituti professionali.

Sono alcune delle materie scelte per la seconda prova scritta della Maturità 2018, annunciate oggi sui profili social del MIUR, dopo la firma dell’apposito decreto da parte della Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli. Il post di annuncio delle materie segna anche il ritorno di #NoPanic, l’iniziativa social del MIUR lanciata lo scorso anno per accompagnare con materiali informativi, consigli di esperti e video esplicativi i mesi che precedono la Maturità.

“Alle ragazze e ai ragazzi che affronteranno le prove a giugno faccio un grande in bocca al lupo. So che questo momento era molto atteso, come ogni anno. Si tratta del primo rito ufficiale che apre il percorso che nei prossimi mesi vi condurrà verso l’Esame. Anche quest’anno la macchina della Maturità si è messa in moto per garantire che tutto si svolga nel migliore dei modi: c’è un grande lavoro dietro le prove che svolgerete”. Prosegue la Ministra: “Le materie della seconda prova sono state individuate anche quest’anno scegliendo tra quelle che caratterizzano maggiormente il corso di studi. Ringrazio fin da ora le docenti e i docenti per l’impegno che metteranno nell’accompagnarvi verso l’Esame. Continuate, ogni giorno, a consolidare la vostra preparazione, ad arricchire le vostre conoscenze e competenze. Non solo in vista della Maturità, ma come bagaglio da portare con voi lungo tutto l’arco della vita”.

La #Maturità2018 avrà inizio il prossimo 20 giugno con la prova di Italiano. Il 21 giugno sarà la volta della seconda prova scritta, nella materia caratterizzante ciascun indirizzo. L’elenco completo delle materie scelte per la seconda prova è disponibile da oggi nella sezione dedicata all’Esame di Stato del II ciclo sul sito del MIUR:
http://www.istruzione.it/esame_di_stato/index.shtml.

Questo l’elenco sintetico delle principali materie.

Licei
Le materie scelte per la seconda prova sono: Greco per il Liceo classico; Matematica per lo Scientifico, anche per l’opzione Scienze applicate; Lingua e cultura straniera 1 per il Liceo linguistico; Scienze umane per il Liceo delle Scienze umane, anche per l’opzione Economico sociale; Discipline artistiche e progettuali caratterizzanti l’indirizzo di studi per il Liceo artistico; Teoria, analisi e composizione sarà la materia della seconda prova al Liceo musicale; Tecniche della danza al Liceo coreutico.

Istituti tecnici
Tra le materie scelte per i Tecnici: Economia aziendale per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing; Lingua inglese nell’opzione Relazioni internazionali per il marketing e nell’indirizzo Turismo; Estimo per l’indirizzo Costruzioni, Ambiente e Territorio; Meccanica, macchine ed energia per l’indirizzo Meccanica, Meccatronica ed Energia; Sistemi e reti per l’indirizzo Informatica e telecomunicazioni; Progettazione multimediale per l’indirizzo Grafica e comunicazione; Economia, Estimo, Marketing e legislazione per l’indirizzo Agrario.

Istituti professionali
Tra le materie scelte per i Professionali: Scienza e cultura dell’alimentazione per l’indirizzo Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera, Diritto e tecniche amministrative della struttura ricettiva nell’articolazione Accoglienza turistica; Tecniche professionali dei servizi commerciali per l’indirizzo Servizi commerciali; Tecnica di produzione e di organizzazione nell’indirizzo Produzioni industriali e artigianali – articolazione Industria; Tecnologie e tecniche di installazione e manutenzione per l’indirizzo Manutenzione e Assistenza tecnica.

Le materie affidate ai commissari esterni sono state individuate in modo da assicurare un’equilibrata composizione della Commissione. Sulla pagina del sito del Miur dedicata all’Esame di Stato è disponibile anche l’elenco delle discipline affidate a commissari esterni.

Quest’anno sono oltre 300 gli istituti coinvolti nel Progetto ESABAC  per il rilascio del doppio diploma italiano e francese; tra questi, per la prima volta sono compresi percorsi dell’istruzione tecnica (ESABAC Techno).

 

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Migliaia di scuole a rischio chiusura

Migliaia di scuole a rischio chiusura, non sono a norma contro gli incendi.

L’allarme dell’associazione dirigenti scolastici: “La metà degli edifici, sono a rischio chiusura che ospita 8 milioni di alunni, non ha il certificato di prevenzione”. Dal primo gennaio l’obbligo di adeguarsi alla legge

di SALVO INTRAVAIA

 

Migliaia di edifici scolastici sono a rischio chiusura per carenze nei requisiti antincendio. A lanciare l’allarme è l’Andis (l’Associazione nazionale dirigenti scolastici), che qualche giorno fa ha inviato una preoccupata lettera alla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. Secondo il presidente dell’Andis, Paolino Marotta, oltre metà dei plessi in cui svolgono le lezioni quasi 8 milioni di alunni italiani è sprovvisto di Certificazione prevenzione incendi e, per questa ragione, potrebbe essere chiusa “al pur minimo sopralluogo degli enti di vigilanza”.

La questione riguarda i 42mila edifici che ospitano le scuole in tutto il territorio nazionale. E diventa urgente perché nella legge di Bilancio, approvata a dicembre, non è stata prevista “la proroga dei termini per la messa a norma antincendio degli edifici scolastici”, esponendo i dirigenti scolastici e gli enti locali proprietari degli immobili (i Comuni, per le scuole dell’infanzia, primarie e medie, e le province per gli istituti superiori) alle sanzioni previste dalla legge.

Secondo Marotta, che cita l’ultimo dato fornito da Legambiente, i plessi sforniti di tale visto ammonterebbero al 52,6 per cento del totale. Un dato coerente con quello fornito dalla Struttura di missione sull’edilizia scolastica presso la presidenza del Consiglio dei ministri, che nell’aprile del 2016 parlava di un 54 per cento di edifici senza Cpi, cioè il Certificato prevenzione incendi.

L’auspicio di Marotta e dei suoi colleghi è che la ministra Fedeli intervenga “presso il Dipartimento dei Vigili del fuoco perché venga emanato un decreto ad hoc, che consenta agli enti proprietari di procedere al progressivo adeguamento alla norma degli edifici scolastici, magari con programmazioni triennali in analogia a quanto già avviene per le strutture sanitarie”.

Dopo l’enorme somma che gli ultimi due governi Renzi e Gentiloni hanno destinato al miglioramento delle condizioni di sicurezza delle scuole italiane (oltre 10 miliardi di euro stanziati di cui 5,2 già assegnati agli enti locali) è incomprensibile che ci siano ancora così tanti plessi senza i requisiti antincendio, una situazione che potrebbe determinarne rischio chiusura.

La legge di riferimento, “Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica”, risale al 1992. Il decreto del ministero degli Interni in questione dava cinque anni di tempo ai proprietari degli immobili scolastici per adeguarsi alle prescrizioni necessarie o per rendere sicure le eventuali procedure di evacuazione in caso di incendio. In seguito la scadenza, per le difficoltà degli enti locali, dovute anche alla carenza di fondi, è stata spostata in avanti di oltre vent’anni.

La preoccupazione di Marotta e dei dirigenti scolastici

è che presto la Cassazione possa pronunciarsi come ha fatto lo scorso primo Gennaio, quando ha sancito il principio che le scuole non in regola con le norme antisismiche (anche con una minima inadeguatezza al Rischio sismico) vanno chiuse immediatamente. E il sindaco non può opporsi.

 

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La Costituzione italiana compie 70 anni.

 

La Costituzione italiana compie 70 anni ed entra in classe. Sarà protagonista anche alla maturità 2018?

 

La Costituzione italiana fresca del suo 70° anno, è entrata infatti in vigore il 1° gennaio 1948, la Costituzione italiana non poteva, vista questa importante occasione, che essere celebrata in grande anche dal mondo della scuola. Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha infatti previsto una serie di manifestazioni, già a partire dal prossimo 8 gennaio. Non solo, in tutte le scuole verrà prestissimo distribuito il testo della Costituzione italiana, con lo scopo di avvicinare gli studenti ai suoi principi fondamentali. E chissà, magari potrebbe essere una delle protagoniste anche alla Maturità 2018; se non nelle prove scritte (ma è comunque tra i temi più prevedibili) almeno al colloquio orale.

La Costituzione italiana nuova compagna di classe

“Invieremo la Costituzione italiana nelle scuole non solo affinché sia riletta, ma per fare in modo che diventi parte di un percorso di studio e confronto che consenta alle nostre giovani e ai nostri giovani di capire come è nata, attraverso quale dibattito”. Così la Ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa che prevede la distribuzione del testo della Costituzione italiana in tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado. Gli studenti, quindi, avranno una nuova compagna di classe che li aiuterà a confrontarsi e a comprendere meglio le basi su cui poggia la nostra convivenza civile. “Vogliamo che le nuove generazioni – ha proseguito la Ministra – riscoprano e approfondiscano i valori fondanti di democrazia, libertà, solidarietà e pluralismo culturale che la Costituzione esprime”.

Le iniziative per festeggiare questo traguardo

Oltre alla distribuzione nelle scuole, il Miur ha però organizzato altre iniziative per celebrare questo importante traguardo raggiunto dalla Costituzione. Lunedì 8 gennaio, presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “Emilio Sereni” di Roma, il Presidente della Corte costituzionale – Paolo Grossi – e la stessa Ministra dell’Istruzione, firmeranno una Carta d’intenti che darà il via al progetto “Viaggio in Italia: la Corte costituzionale nelle scuole”, un ciclo di incontri tra i giudici della Corte costituzionale e gli studenti, durante i quali potranno essere approfonditi temi quali la genesi, la composizione e il funzionamento della Corte costituzionale. Verrà poi presentato il concorso nazionale “La Costituzione italiana dei ragazzi” che si propone di offrire agli studenti un’occasione di riflessione sulla nascita della Repubblica e sull’importanza del ruolo della Carta costituzionale nel percorso di crescita di un’Italia democratica. Il 9 gennaio, invece, i 70 anni della Costituzione saranno festeggiati al Senato della Repubblica, con trecento studentesse e student,i alla presenza del Presidente Pietro Grasso, della ministra Fedeli e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.

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Lettura alle scuole elementari

Lettura alle scuole elementari, Italia meglio dell’Europa

 

Indagine Iea Pirls 2016 sulla quarta primaria: siamo al 16° posto sui 50 Paesi del mondo analizzati, ma con performance superiori a Germania, Spagna e Francia. Il Nord-Ovest ha punteggi alti, si riduce la distanza tra femmine e maschi. Risultato significativo, considerando anche l’incremento degli scolari immigrati, che abbassano il livello di lettura di una classe

di CORRADO ZUNINO

Tra i nove e i dieci anni, nella classe che in quasi tutti i Paesi del mondo è la quarta elementare, si è già imparato a leggere e si inizia a leggere per imparare. L’Italia, tra le cinquanta nazioni industrializzate e non che hanno partecipato all’indagine Iea Pirls (Progressi in international reading), da noi curata da Invalsi, ha preadolescenti che sotto questo aspetto crescono: nel 2016, infatti, abbiamo sette punti in più in lettura e comprensione rispetto a quindici anni fa, primo ciclo di indagine. Oggi svettiamo con 548 punti, diciotto in più della media internazionale (500) e, sedicesimi classificati su 50 (a pari merito con la Lituania e un punto dietro gli Stati Uniti), abbiamo performance nella lettura migliori di stati comparabili sul piano dell’educazione e dello sviluppo: il Canada è 23°, la Germania 26a, Israele 29°, il Portogallo 30°, la Spagna 31a e la Francia 34a.

In testa alla classifica Pirls c’è la Federazione Russa (che guida il blocco dei Paesi dell’Est europeo con la Polonia sesta). Secondi e terzi sono Singapore e Hong Kong, quarta l’Irlanda e quinta è la Finlandia.
Il miglioramento dei nostri novenni, rispetto al primo ciclo tenuto nel 2001, ha un peso perché è avvenuto contestualmente a un aumento significativo della proporzione di studenti immigrati, che, si sa per esperienza, abbassano il livello di lettura di una classe. In quindici anni gli alunni stranieri nelle aule italiane sono passati dal 2 al 10 per cento, eppure il corpo dei ragazzini nel reading è cresciuto. Tutto insieme. La seconda questione che conta è che nei cinque anni compresi tra il 2006 e il 2011 eravamo peggiorati di dieci punti: l’ultimo quinquennio, quindi, ha rappresentato una svolta positiva, che ci ha riportati vicini ai livelli di dieci anni fa (511 punti) e andrà indagata. Oggi nel reading abbiamo quattro punti in più della media Ue – ricordiamo che in Scienze siamo sotto la media europea mentre abbiamo recuperato la distanza in Matematica – e sette punti in più dei risultati dei Paesi industrialmente sviluppati (Ocse). Sul lungo periodo, in questi quindici anni siamo cresciuti un po’ meno della media dei Paesi europei (7 punti contro 9), ma più della media dei Paesi industrializzati (7 contro 5).

MASCHI PIU’ VICINI ALLE FEMMINE
L’indagine Pirls, che rileva anche le esperienze familiari e scolastiche che possono influenzare l’apprendimento dei bambini, ha coinvolto 3.900 studenti rappresentativi di oltre 520.000 della quarta primaria. Il buon risultato degli italiani si vede, ancora, scandagliando i quattro livelli di lettura. La percentuale che raggiunge il Livello avanzato, rispondendo con successo ai quesiti più difficili, è dell’11 per cento (un punto sopra la media generale), coloro che arrivano al Livello alto sono il 52 per cento, oltre la metà del campione e cinque punti sopra gli altri Paesi. L’87 per cento è a un livello intermedio (cinque punti meglio degli altri) e la quasi totalità degli scolari italiani (98%) riesce a rispondere almeno ai quesiti più semplici sottoposti dal Pirls (due punti in più della media globale).

In Italia, è il secondo messaggio che discende dal dossier, lo scarto tra femmine e maschi è ridotto: le scolare hanno una lettura più matura (552 punti), ma i maschi riducono le distanze a sette lunghezze quando, invece, il gap tra scolare e scolari in Europa è a quota 14 e nel resto dei Paesi industrializzati a quota 13.

IL NORD-OVEST SI STACCA
Ci sono 47 punti di distacco tra i valori delle scuole del Nord-Ovest, dove si legge meglio, e quelli di Sicilia e Sardegna. Se il punteggio (562) dell’area compresa tra Milano, Torino e Genova farebbe salire in classifica il Paese all’ottavo posto assoluto, il Sud e in particolare le Isole non ci fanno precipitare: i 538 punti dell’Italia meridionale sono di una lunghezza superiori alla media tedesca e i 525 delle Isole sono superiori alla media francese.

Il lavoro spiega che tra gli studenti che dichiarano di avere oltre cento libri a casa e quelli che ne hanno meno di venticinque ci sono 88 punti di differenza nella performance di lettura. Molti. La distanza, invece, tra le scuole “economicamente privilegiate” e quelle “economicamente svantaggiate” è solo di 16 punti. Conta più il background familiare che la qualità dell’istituto scolastico. Rispetto al piacere della lettura, l’Italia è sopra la media dei Paesi interessati, comunque medio-bassa in classifica.

  LA LETTURA ONLINE

Vista la crescente centralità di internet come strumento di acquisizione di informazioni anche per lo studio, nel ciclo di indagine del 2016 è stata presentata per la prima volta una prova di lettura in ambiente web simulato con l’obiettivo di rilevarne le capacità di assorbire testi informativi online: agli studenti è stato chiesto di svolgere due ricerche scolastiche su argomenti di scienze naturali e scienze sociali. All’interno di una finestra del browser, l’avatar di un insegnante virtuale ha accompagnato gli scolari presentando domande che obbligavano alla ricerca delle informazioni all’interno di ipertesti discontinui. Alla lettura internet hanno partecipato 14 Paesi e qui l’Italia è risultata solo decima: da 548 punti scendiamo a 532 e siamo sotto la media delle nazioni analizzate. Su internet si riducono a tre punti le distanze tra femmine e maschi e a 29 punti quelle geografiche (dal Nord-Ovest alle Isole).

 

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Diploma in quattro anni

Diploma in quattro anni: il piano coinvolgerà licei e istituti tecnici

Scuola, liceo in 4 anni: sperimentazione in 100 classi

Si potrà attivare una sola classe per scuola partecipante. Un’apposita Commissione tecnica valuterà le domande

La ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha firmato il decreto per il Piano nazionale di sperimentazione in 100 classi per il diploma in quattro anni. Il Piano coinvolgerà Licei e Istituti tecnici.

 

Fino a oggi, 12 scuole hanno sperimentato percorsi quadriennali sulla base di progetti di istituto autorizzati di volta in volta dal ministero. Per rendere maggiormente valutabile l’efficacia della sperimentazione, viene previsto ora un bando nazionale, con criteri comuni per la presentazione dei progetti, per 100 classi sperimentali in tutta Italia che partiranno nell’anno scolastico 2018/2019.

 

L’avviso sarà pubblicato a fine mese sul sito del Miur e le scuole potranno fare domanda dall’1 al 30 settembre. Si potrà attivare una sola classe per scuola partecipante. Un’apposita Commissione tecnica valuterà le domande pervenute. Le proposte – possono candidarsi sia scuole statali che paritarie – dovranno distinguersi per un elevato livello di innovazione, in particolare per quanto riguarda l’articolazione e la rimodulazione dei piani di studio, per l’utilizzo delle tecnologie e delle attività laboratoriali nella didattica, per l’uso della metodologia Clil (lo studio di una disciplina in una lingua straniera), per i processi di continuità e orientamento con la scuola secondaria di primo grado, il mondo del lavoro, gli ordini professionali, l’università e i percorsi terziari non accademici.

 

Nessuno ’sconto’. Alle studentesse e agli studenti dovrà essere garantito il raggiungimento di tutti gli obiettivi specifici di apprendimento del percorso di studi scelto. Il tutto entro il quarto anno di studi. L’insegnamento di tutte le discipline sarà garantito anche eventualmente potenziandone l’orario.

 

Nel corso del quadriennio, un Comitato scientifico nazionale valuterà l’andamento nazionale del Piano di innovazione e predisporrà annualmente una relazione che sarà trasmessa al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Il Comitato sarà nominato dalla Ministra dell’Istruzione e dovrà individuare le misure di accompagnamento e formazione a sostegno delle scuole coinvolte nella sperimentazione.

 

A livello regionale, invece, saranno istituiti i Comitati scientifici regionali che dovranno valutare gli esiti della sperimentazione, di anno in anno, da inviare al Comitato scientifico nazionale.

 

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