Bullismo? La parola agli studenti

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Bullismo? La parola agli studenti

Bullismo? La parola agli studenti

 

Il confronto in diretta video tra lo scrittore Paolo Di Paolo e una delle migliaia di classi che partecipano a Repubblica@Scuola: “Abbiamo visto le immagini violente – dicono i ragazzi del liceo Azuni di Sassari – ma quello che chiediamo è che la scuola insegni a rispettare gli altri”. Tra il ruolo degli insegnanti e l’invadenza dei genitori

di CARMELO LEO

 

Bullismo? La parola agli studenti che diventano aguzzini dei propri coetanei o travalicano i ruoli per mortificare i loro insegnanti. Genitori che puntano il dito contro i docenti. E sullo sfondo i cellulari, che danno risonanza mediatica a ogni fatto. I recenti gravi casi, a Lucca e in tante altre città, alimentano il dibattito sul fenomeno del bullismo in Italia. Tra chi pensa che comportamenti del genere siano una conseguenza del ceto di provenienza e chi, invece, analizza le violenze in modo trasversale, legandole ai rapporti degli studenti con genitori e insegnanti. Una discussione spesso raccontata da adulti per altri adulti, senza interpellare i ragazzi. E’ appunto per questo che Repubblica ha pensato di mettere a confronto proprio i ragazzi con alcuni degli intellettuali che in questi giorni hanno riflettuto sul tema.
Momenti di imbarazzo, poi uno rompe la prudenza e, in un certo senso, accusa: “La scuola oggi sta diventando una caricatura, viene rappresentata così. Nel senso che se ne enfatizzano solo i lati negativi. Il problema esiste, ma non bisogna mai generalizzare. Non c’è mai stato bullismo nella nostra classe, ad esempio”. Ma cos’è il bullismo? Non è solo trasgredire le regole civili, spiega Di Paolo, ma far sì che ciò scaturisca in violenza, o in contrasti forti che rendono difficile stabilire relazioni all’interno di un gruppo. Allora, si scopre, che forse il bullismo è qualcosa di più della mera violenza, e che anche un approccio verbale può rientrare in quella categoria.
“Io in questi anni di scuola – interviene Claudia – ho imparato di più con le relazioni sociali che con lo studio vero e proprio. E ho capito che il rispetto non passa solo dalla forma, dal dare del ‘lei’ ai docenti”. Per questo, spiega la ragazza, quando uno studente intima al suo insegnante di inginocchiarsi, non è il gesto di travalicare il ruolo dell’insegnante ad essere bullismo. Ma il mancare di rispetto ad un altro essere umano.

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La scuola, dunque, come microcosmo che fornisce conoscenze ma anche strumenti per costruire rapporti con gli altri. Una responsabilità che grava, in gran parte, sulle spalle dei professori. A volte considerati troppo autoritari e fuori dal tempo, altre eccessivamente permissivi: “La scuola sta soffrendo – ammette in aula il professor Altana – e sta venendo meno soprattutto il rapporto tra noi docenti. Una volta eravamo più disponibili tra di noi, ci incontravamo nei corridoi e parlavamo dei ragazzi, dei loro progressi e dei loro problemi. Ora discorsi del genere vengono affrontati solo nei consigli di classe”.

Sempre più informati sull’andamento degli studenti, invece, sono i genitori. Che spesso incolpano i professori di quello che accade tra le mura scolastiche. Sia per proteggere i figli, ma anche perché un brutto voto al ragazzo viene vissuto come una bocciatura indiretta al genitore: “Spesso inoltre – interviene un altro studente – i comportamenti dei genitori sono legati alla paura che il proprio figlio venga bullizzato per i suoi brutti voti”. Un’invadenza, la loro, che però svilisce il ruolo dell’educatore: “Un insegnante può sbagliare – conclude Di Paolo – ma mettere in discussione la sua autorevolezza ha solo conseguenze negative”.

 

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In Classe Vietati Bermuda, Canotte e Jeans Strappati, la Scuola non è una Discoteca

In Classe Vietati Bermuda, Canotte e Jeans Strappati, la Scuola non è una Discoteca

Siamo arrivati al mese di Maggio, questo significa che si è agli sgoccioli dell’anno scolastico. Maggio però coincide anche con le calde temperature ed ecco allora che spuntano le prime critiche e avvisi da parte dei Dirigenti Scolastici, in particolare si fa riferimento al Dress Code.

Il primo proviene dalla Dirigente Scolastica dell’istituto comprensivo di Leonardo da Vinci di Milano. È stata infatti inviata una circolare diretta alle famiglie nella quale si ricorda che è vietato per gli alunni e alunne indossare pantaloncini, canottiere, bermuda e ogni altro capo di abbigliamento ritenuto non idoneo ad un ambiente scolastico.

Al riguardo sono state espresse molte critiche, ma anche apprezzamenti, in particolare quelli della sociologa Chiara Saraceno che dice: “Fino a dieci anni fa nessuno si sognava di andare a scuola o all’università con le infradito. La differenza tra la spiaggia o la scuola dovrebbe essere mantenuta. Non è un problema di quanta pelle si mostra ma che ci si presenti in modo diverso a seconda del luogo che si frequenta. Senza esagerare nel formalismo è necessario che come si imparano i ritmi del tempo è utile imparare la diversità dei luoghi: l’aula non è la discoteca

Ma la città di Milano non è sola: possiamo ricordare infatti come, lo scorso anno, in un istituto di Rimini si sia avvertita l’esigenza di emanare un Dress Code. Le cose non sono cambiate nemmeno quest’anno, infatti dopo 3 infrazioni gli studenti verranno richiamati con una nota scritta.

 E come dimenticare la circolare del Liceo Righi di Roma dello scorso anno?

A titolo meramente esemplificativo: a scuola le infradito non sono eleganti. In spiaggia, magari, sì. A scuola una minigonna non è elegante. In discoteca, magari, sì. A scuola, un pantalone corto(con eventuali peli sulle gambe, di varia lunghezza, annessi) non è elegante. E non lo è da nessun’altra parte. A scuola, far vedere le ascelle non è elegante. Dal dottore, magari, sì. A scuola, mostrare le proprie mutande mentre si cammina per i corridoi non è elegante. Se si dovesse diventare testimonial di qualcuno, magari, sì

E si continua a leggere nella circolare: “Mi permetto di prevenire qualsiasi possibile istanza avente ad oggetto la pretesa percezione di temperature sub-sahariane che potrebbero, nell’ottica di qualcuno, fungere da giustificazione a scelte di abbigliamento più adatte ad una spiaggia che non ad una scuola. Abbiamo la fortuna di vivere in una zona del mondo beneficiata dal così detto clima temperato mediterraneo: senza entrare nello specifico, estati secche ed inverni miti. C’è di peggio. Qualora doveste mai frequentare scuole situate in zone di clima equatoriale, ne potremo riparlare. Al momento, no

 

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Adolescenti italiani 31 ore a settimana sul web

Adolescenti italiani 31 ore a settimana sul web

I risutati dell’indagine Ocse: nel 2015 erano 21, superata la media dei paesi europei. E lo studio ne risente

di SALVO INTRAVAIA

 

Quasi 31 ore a settimana collegati ad internet utilizzando tutti gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione: computer, tablet, smartphone. Oltre quattro ore al giorno trascorse in rete per studiare, chattare e giocare. Sono gli adolescenti italiani che si scoprono più internauti dei coetanei di molti paesi europei. Una overdose di collegamenti, nel 2015, che in appena tre anni sono quasi quasi raddoppiati in termini di ore. È l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, attraverso uno dei focus sui test Pisa 2015 (Programme for International Student Assessment) che scandaglia le competenze dei quindicenni di mezzo mondo in Lettura, Matematica e Scienze, che ha messo in luce la particolare dedizione al web dei nostri ragazzi. Investigando anche sulle abitudini e sulla situazione economica e sociale dei ragazzi presi in esame per scoprire le formule che portano gli studenti alle migliori performance.
Nel 2012, il test Pisa si svolge ogni tre anni, i quindicenni italiani passavano nel villaggio globale “appena” 17,5 ore a settimana: 2 ore e mezza al giorno, domeniche comprese. Non poco per i loro genitori “immigrati digitali”. Poco per la media Ocse, che si attestava sulle 21 ore settimanali. E in tre anni la metamorfosi: 30,5 ore e media Ocse, di 29 ore ogni sette giorni, superata abbondantemente. Più 80 per cento. In altre parole: gli adolescenti italiani hanno colmato il gap digitale con i loro coetanei europei e non solo. Un bene? A prima vista sembrerebbe di sì. Ma da Parigi precisano: “Esistono modi innovativi, efficienti e promettenti in cui il digitale può essere utilizzato nella didattica, ma fino a quando non diventeranno la norma, è meglio adottare l’approccio coreano: trascorrere una quantità moderata di tempo in internet e ancor meno nei giorni di scuola”.
I ragazzini coreani sono infatti ai primi posti del ranking mondiale per competenze in Scienze, Matematica e Lettura. Preceduti dai compagni finlandesi che navigano in internet per meno ore (28,5 circa a settimana) degli italiani. Che con 481 punti in Scienze si piazzano al 34° posto, su 70 paesi e economie sparsi nei cinque continenti, ma al di sotto della media Ocse. Il grosso del tempo, circa 25 ore a settimana, gli italiani lo passano in rete ma al di fuori delle ore scolastiche. Quelle dedicate allo studio tra le mura scolastiche sono soltanto 5,5. A livello globale le ore trascorse sul web a scuola sono poco di più, circa 6 a settimana, e meno quelle trascorse a casa o comunque al di fuori della scuola: 23, contro le 25 degli adolescenti nostrani. “Le prove suggeriscono – concludono dall’Ocse – che gli studenti più connessi si comportano peggio nelle prove Pisa, in particolare quando usano internet massicciamente nei giorni di scuola”.

 

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Autoregolazione, autoefficacia e co-regolazione nell’apprendimento

Autoregolazione, autoefficacia e co-regolazione nell’apprendimento

Bellissimo articolo scritto da Vincenzo Amendolagine

Diverse ricerche hanno messo in evidenza che spesso il successo scolastico dipende dalla capacità di autoregolarsi. In altre parole, per giungere ai traguardi di apprendimento lo studente deve monitorare, controllare e regolare la sua applicazione nello studio. L’autoregolazione ha un suo iter procedurale ben preciso, ovvero lo studente deve darsi un obiettivo da raggiungere, utilizzare le strategie giuste, monitorare i propri progressi, sondare l’efficacia dell’intero processo.  Perché questa abilità possa estrinsecarsi è molto importante l’approccio psicopedagogico degli educatori (Agina, Kommers e Steehouder, 2011). In pratica, è necessario che i docenti promuovano nei loro discenti, fin dalle prime fasi della scolarizzazione, un processo di apprendimento attivo, che li accompagni nel corso di tutta l’intera carriera scolastica.

La validità dell’autoregolazione nell’apprendimento è un predittore del successo nei contesti scolastici (Zimmermann, 2008). Connessa all’autoregolazione è l’autoefficacia (Bandura, 1977) che il soggetto prova quando sa che, grazie alle sue abilità, è in grado di raggiungere un obiettivo che si prefissato.

Le variabili dell’insuccesso scolastico

L’incremento del ruolo di protagonista nel proprio apprendimento è agevolato da una serie di fattori, quali il possedere delle procedure metacognitive, la motivazione ad apprendere e il contesto di apprendimento (Dembo, Junge e Lynch, 2006). Quest’ultimo svolge un ruolo chiave, potendo attivare o ostacolare l’autoregolazione nell’apprendimento.

L’autoregolazione e l’autoefficacia sono due strumenti importanti che prevengono, laddove presenti, l’insuccesso scolastico. Blair e Raver (2015) vedono l’insuccesso scolastico  correlato ad alcuni elementi, quali le caratteristiche personali (inclusi l’autoregolazione e l’autoefficacia), il retroterra familiare e il contesto scolastico. Fra le caratteristiche personali sono da annoverare la capacità di organizzare le informazioni e di finalizzarle all’esecuzione del compito assegnato; l’abilità di focalizzare la propria attenzione; l’attitudine a riflettere sulle esperienze che si fanno; la competenza sociale, che induce ad avere delle interazioni interpersonali positive.

L’apprendimento cooperativo e la co-regolazione

Frequentemente nei contesti scolastici sono promossi i processi di cooperazione fra alunni nell’ambito dell’apprendimento (cooperative learning). In questo caso, si formano dei gruppi di apprendimento in cui l’autoregolazione nello studio da processo individuale diventa collettivo, coinvolgendo l’intero insieme di studenti che partecipano al gruppo (Hayes, Uzuner – Smith e Shea, 2015). In ragione di ciò, l’autoregolazione diviene co-regolazione.

La co-regolazione è efficace, ovvero promuove anche nel singolo la capacità di autoregolazione, nella misura in cui il gruppo è efficiente, ossia si crea un’interdipendenza positiva fra i membri che lo compongono. Nei gruppi di apprendimento si stabiliscono delle dinamiche differenti. Ci sono, infatti, degli individui che adottano un ruolo più attivo e altri un ruolo più periferico. Alcune volte, però, i membri più attivi non sono necessariamente i più qualificati.

Lavoro di gruppo, autoregolazione e autoefficacia

Uno studio (Fernandez-Rio, Cecchini, Mendez-Gimenez, Mendez-Alonso e Prieto, 2017), svolto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Oviedo, in Spagna, ha voluto assodare come l’apprendimento cooperativo influisce sull’autoregolazione e sull’autoefficacia di ciascuno studente che fa parte di un gruppo di apprendimento. Lo studio ha reclutato 2513 studenti di scuola secondaria di secondo grado, con un’età compresa fra 12 e 17 anni, iscritti a 17 differenti scuole che appartengono al Network Nazionale delle Scuole Spagnole che utilizzano quotidianamente l’apprendimento cooperativo. Tutti i partecipanti alla ricerca avevano fatto l’esperienza dell’apprendimento cooperativo per almeno un anno scolastico. Per valutare gli effetti dell’apprendimento cooperativo sugli studenti sono stati somministrati alcuni questionari, quali The Cooperative Learning Questionnarie (Fernandez-Rio, Cecchini, Mendez-Gimenez, Mendez-Alonso e Prieto, 2017), che indaga l’efficacia dell’apprendimento cooperativo; The Strategies to Control the Study Questionnaire (Hernandez e Garcia, 1995), che valuta l’autoregolazione nell’apprendimento; The Global Academic Self – Efficacy Questionnarie (Torres, 2006), che indaga l’autoefficacia percepita.

Dai risultati della ricerca si evince che l’apprendimento cooperativo influenza positivamente l’autoregolazione e l’autoefficacia nell’apprendimento nel 35% circa dei soggetti esaminati (888 ragazzi).

 

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Il contributo della deontologia pedagogica

Il contributo della deontologia pedagogica alla sfida dell’inclusione scolastica

Cosa rende inclusivo un docente specializzato o curricolare? Cosa fare concretamente nell’operatività del quotidiano per testimoniare l’impegno per la crescita degli alunni? L’articolo propone una visione deontologica che definisce, nella prima parte, i principi fondamentali della professione educativa secondo l’approccio del problematicismo pedagogico, e ne propone successivamente una traduzione operativa nella pratica scolastica. L’inclusione è qui declinata come centralità del diritto all’educazione per tutti, non solo per gli alunni con disabilità ma per tutti coloro che, più o meno consapevolmente, sono portatori di bisogni educativi speciali.

 

Introduzione

La traduzione pratica dei principi dell’inclusione scolastica richiede una riformulazione della deontologia di base comune a tutti i docenti, a prescindere dal ruolo e dalla specializzazione. Solo attraverso un ripensamento generale della figura docente (in termini di finalità, competenze, metodologie), sarà infatti possibile tessere uno sfondo significante comune su cui è possibile attuare i principi di una autentica inclusione scolastica, nella direzione della costruzione di contesti sempre più competenti.

L’articolo si propone di analizzare i rapporti che intercorrono tra la riflessione deontologica, elaborata nell’ambito del problematicismo pedagogico di Bertin e dei suoi allievi, e i principi dell’inclusione scolastica, frutto, in Italia, di un lungo cammino di sperimentazione ad oggi tutt’altro che concluso.

La prima parte sarà dedicata ad una rivisitazione degli elementi essenziali della deontologia pedagogica, per mostrare come in essi siano già presenti, sullo sfondo, le linee operative per una inclusione scolastica di qualità. La seconda parte sarà invece dedicata all’analisi di alcune fondamentali competenze chiave, patrimonio comune tanto dei docenti curricolari quanto di quelli specializzati, richieste al docente che opera, nel segno della deontologia, in realtà sempre più complesse, eterogenee, plurali.

I principi della deontologia pedagogica nella prospettiva del problematicismo pedagogico

La deontologia pedagogica non ha soluzioni. Nulla è più lontano dall’approccio filosofico del problematicismo bertiniano di voler fornire non solo la “ricetta” per risolvere una situazione (oggi sempre più) complessa, ma anche la possibilità di un’interpretazione univoca di essa. Così deve essere interpretata anche la prospettiva deontologica che da questo filone prende le mosse: un impegno riflessivo costante che il docente deve condurre sul proprio lavoro e sulle motivazioni che lo sorreggono, diventando sempre di più un “professionista riflessivo”. Una riflessione che attinge dalla pratica e che in essa ritorna per arricchirla e renderla viva, consapevole di sé. Interpretata in questo modo, la deontologia, afferma Bertin, assume i connotati di un pensiero “inattuale”: essa non corrisponde infatti ai canoni del “pensiero sbrigativo” imposti dal paradigma attuale, non soddisfa le esigenze della semplificazione, non offre garanzie di successo: anche per questo, sosteneva Bertin, essa va perseguita, come impegno nei confronti di tutto ciò che è attuale al fine di integrarlo e arricchirlo.

La domanda cui la deontologia risponde non è dunque semplicemente “Cosa fare?” (la ricetta) ma si connota come domanda di senso, che diventa definizione di un orizzonte regolativo formale entro cui iscrivere le diverse prassi educative quotidiane: “A che cosa (fondamentalmente e dal punto di vista etico) deve essere tenuto chi educa?”. Nel rispondere a questa domanda facciamo esplicito riferimento alla proposta Contini che, facendo propria l’impostazione del problematicismo, ha sistematizzato in tre principi fondamentali la deontologia pedagogica delle professioni educative e, tra queste, dell’insegnante.

 

 

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Arriva la rivoluzione dei test Invalsi

Test Invalsi

Arriva la rivoluzione dei test Invalsi: più tempo e meno domande

 

Per la terza media si svolgeranno dal 4 al 21 aprile, e non più durante l’esame finale, con la modalità computer-based e non saranno più in contemporanea in tutte le scuole italiane

di SALVO INTRAVAIA

 

IL ministero dell’Istruzione, in una circolare per i test invalsi, ha spiegato tutte le novità introdotte dalla Buona scuola sul quizzone croce e delizia, da quando è stato introdotto, di mezzo milione di studenti. Il Miur ripercorre le modifiche che partiranno proprio quest’anno delineando le misure messe in campo per evitare di mettere in difficoltà i ragazzi alle prese con la novità.

Innanzitutto, “la partecipazione alle prove invalsi – ricordano dal ministero – è requisito di ammissione all’esame”. Senza avere partecipato, a prescindere dalla valutazione, non si potrà accedere agli esami. E, alle prove di Italiano e Matematica, si aggiunge quella di Inglese. Ovviamente, per coloro che fossero costretti ad assentarsi, sono previste una o più sessioni di recupero. Modalità differenziate (eventualmente anche in forma cartacea) per gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento e per quelli affetti da disabilità.

Le prove non si svolgeranno, come avveniva fino allo scorso anno, nello stesso momento ma “secondo calendari specifici per ciascuna istituzione scolastica”. Per la terza media si svolgeranno dal 4 al 21 aprile i test invalsi. I tre quizzoni avranno inoltre il 10 per cento di domande in meno rispetto alle edizioni precedenti (in cui il numero di domande cambiava ogni anno) e verrà concesso più tempo: 15 minuti in più. In altre parole, per risolvere i diversi item gli studenti avranno a disposizione 90 e non più 75 minuti.

Due le motivazioni che hanno spinto l’istituto di via Ippolito Nievo ad “alleggerire” la prova dei test invalsi. Primo: fare “in modo che le alunne e gli alunni abbiano tutto il tempo per rispondere serenamente alle domande. Secondo: la modalità computer-based “consente di mantenere la stessa precisione nella definizione dei risultati con un numero minore di quesiti di un’equivalente prova cartacea”. Mentre i contenuti della prova d’Italiano e di Matematica saranno in perfetta continuità con quelli delle prove degli anni passati, mentre quelli della prova d’Inglese sono in linea con quanto previsto dal Quadro comune europeo di riferimento delle lingue, al livello A1.

Per sbarcare sul web le prove “sono state predisposte – spiegano da viale Trastevere – su una piattaforma online già utilizzata in diversi paesi europei per lo svolgimento di prove analoghe e in alcune importanti ricerche comparative internazionali”. Ma le scuole medie avranno le necessarie attrezzature – computer e collegamenti internet perfettamente funzionanti – per traghettare le prove Invalsi nel terzo millennio? Qualche settimana fa, alcuni presidi lanciarono l’allarme su un possibile caos, paventando il ritorno alle prove cartacee. Ma all’Invalsi sono categorici: “Si fa presente – spiegano – che ciò non sarà possibile dal momento che la modalità di somministrazione “computer based” delle prove è un requisito fissato esplicitamente dalla legge. Pertanto – continuano

dall’istituto nazionale di valutazione – l’Invalsi, pur dichiarandosi disponibile ad ogni tipo di flessibilità circa l’organizzazione pratica delle prove, non potrà attuare modalità di somministrazione diverse da quelle previste dalla legge”.

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Un diplomato su due ammette: “Ho sbagliato scuola”

Un diplomato su due ammette: “Ho sbagliato scuola”

 

Non calano i pentiti della scelta fatta a 14 anni dell’istituto o dell’indirizzo di studi. Indagine AlmaDiploma su 80mila ragazzi usciti dalle superiori nel 2016 e 2014

di ILARIA VENTURI

 

Sarà per una scelta prematura, da fare a 13-14 anni, o per l’orientamento che ancora non funziona come dovrebbe. Ma si conferma la fatica dei ragazzi nell’individuare la scuola superiore o l’indirizzo “giusto” per loro. Interpellati poco prima della Maturità quasi uno su due (45%) dichiara di aver sbagliato. Dopo un anno, gli stessi ragazzi si dicono pentiti della scelta nel 42% dei casi. E’ il nuovo Rapporto 2018 redatto da AlmaDiploma sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati a dirlo. L’indagine ha riguardato circa 80 mila diplomati del 2016 e del 2014 intervistati rispettivamente a uno e tre anni dal conseguimento del titolo. Ne esce la fotografia dei diplomati rispetto all’esperienza scolastica compiuta e al futuro che li aspetta tra università – scelta dal 70% – e lavoro.

“La transizione post diploma pone il ragazzo di fronte a problematiche complesse: la conoscenza di sé, il possesso delle informazioni indispensabili sull’università e sul mondo del lavoro – spiega Mauro Borsarini, presidente di AlmaDiploma – Proprio per questo diventa fondamentale mettere in atto delle politiche di orientamento che supportino i giovani sia nella scelta dell’università che nel loro ingresso nel mercato del lavoro”. L’indagine, continua, “permette alle scuole di acquisire elementi per poter valutare l’efficacia esterna del proprio curriculum di studi, delle proprie metodologie di insegnamento e della propria progettazione educativa e didattica”.

· LA SCUOLA? “SE POTESSI TORNARE INDIETRO CAMBIEREI”
“La famiglia e gli insegnanti della scuola secondaria di primo grado esercitano un ruolo di fondamentale importanza nella scelta del percorso da compiere”, si legge nel Rapporto. È probabilmente per tali ragioni, dunque, che alla vigilia della conclusione degli studi il 55% dei diplomati del 2016 dichiara che, potendo tornare indietro, sceglierebbe lo stesso corso nella stessa scuola, mentre il restante 45% compierebbe una scelta diversa: oltre un quarto cambierebbe sia scuola sia indirizzo, il 12% ripeterebbe il corso ma in un’altra scuola, l’8% sceglierebbe un diverso indirizzo nella stessa scuola. Intervistati a un anno dall’esame di Satto chi replicherebbe esattamente il percorso scolastico sale al 57%. Ma rimane il 27% che cambierebbe sia scuola che indirizzo. I meno convinti risultano quelli degli istituti professionali e il malcontento cresce a un anno dal diploma.

Un diplomato su due ammette: "Ho sbagliato scuola"

A sinistra i ragazzi intervistati prima del diploma, a destra ad un anno dal diploma (fonte AlmaDiploma)

· DOPO IL DIPLOMA IL 67% SI ISCRIVE ALL’UNIVERSITA’
I diplomati del 2016 iscritti all’università, dopo un anno, sono il 67%. La quota di diplomati dediti esclusivamente allo studio universitario è nettamente più elevata tra liceali (68%) rispetto ai diplomati del tecnico (37%) e del professionale (18%). Rimane assai elevata, ancora dopo tre anni dal diploma – racconta il rapporto – la quota di liceali che studia – esclusivamente – all’università: 62%, contro il 32% del tecnico e il 13% del professionale.? Erano già convinti tra i banchi della scuola secondaria di secondo grado di volerla fare? Sì. Alla vigilia dell’esame di Stato, infatti, l’86% di coloro che aveva dichiarato di volersi iscrivere all’università ha successivamente confermato le proprie intenzioni. All’opposto, l’8% ha cambiato idea.? Il contesto socio-economico e culturale familiare influenza nettamente la scelta. Fra i diplomati del 2016 appartenenti a contesti più favoriti è nettamente più frequente l’iscrizione all’università (79% contro 53% dei giovani provenienti da famiglie meno favorite). Anche il titolo di studio dei genitori ha un peso nelle scelte formative dei giovani: l’84% dei diplomati provenienti da famiglie in cui almeno un genitore è laureato ha deciso di iscriversi all’università. “La scelta delle famiglie di supportare la prosecuzione degli studi – dice il rapporto – è influenzata dalle difficoltà economiche e occupazionali vissute e, in molti casi, chi può fa proseguire gli studi rinviando l’ingresso nel mercato del lavoro”.

· I DIPLOMATI AL LAVORO: PRECARI E STIPENDI DA MILLE EURO
Ad un anno dal conseguimento del titolo, escludendo quanti sono impegnati in attività formative retribuite, risultano occupati 35 diplomati su cento: tra questi 16 hanno scelto di frequentare l’università lavorando. Come era naturale attendersi, questa percentuale raggiunge il suo massimo in corrispondenza dei diplomati professionali (47%) e dei tecnici (42%) mentre tocca il minimo tra i liceali (27%). A tre anni dal titolo sono occupati 46 diplomati (di cui il 18% è impegnato sia nello studio che nel lavoro). Tra i diplomati del 2014, tale quota raggiunge il suo massimo in corrispondenza dei diplomati professionali (69%) e tecnici (56%), mentre tocca il minimo tra i liceali (32%). La disoccupazione coinvolge 20 diplomati su cento ad un anno; una quota significativa che raggiunge il 23% dei diplomati professionali, i più pronti ad inserirsi nel mercato del lavoro. ?Il tasso di disoccupazione, a tre anni dal titolo, scende al 13%. I diplomati che lavorano a tempo pieno hanno per lo più contratti a termine e guadagnano in media, a un anno dal diploma, 1.043 euro mensili netti e a tre anni 1.169 euro.

· ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO COINVOLGE IL 61%
Il rapporto dedica uno specifico approfondimento all’alternanza scuola-lavoro. Dall’Indagine emerge che il 61% dei diplomati dichiara che il percorso didattico concluso prevedeva tali tipi di esperienze che – come ci si poteva attendere – risultano particolarmente diffuse negli istituti professionali (il 91% dei diplomati dichiara che il progetto era previsto) e nei tecnici (86%); riguardano solo in minima parte i licei (40%). L’alternanza scuola-lavoro “non sembra essere un’esperienza isolata, che termina con il diploma – spiega l’indagine – ma spesso si traduce in un rapporto di lavoro con l’azienda presso cui lo studente ha svolto i periodi lavorativi previsti dal progetto”.

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Rinnovo contratto scuola

Rinnovo contratto scuola, dopo nove anni firmato nuovo contratto nazionale: aumento stipendio di 85 euro

Riguarda un milione di addetti ai lavori: docenti e Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) e comprende gli addetti dell’università e della ricerca

Sono circa 200mila gli addetti dell’Alta formazione artistica e musicale (Afam), i ricercatori, i tecnologi, i tecnici e gli amministrativi degli Enti di ricerca e delle università.Per i docenti della scuola, “gli aumenti salariali – spiegano i sindacati – sono in linea con quanto stabilito dalle confederazioni con l’accordo del 30 novembre 2016; da un minimo di 80,40 euro a un massimo di 110,70 euro”. E resta, per le fasce retributive più basse, il bonus fiscale di 80 euro.
“Nessun aumento – puntualizzano i rappresentanti dei lavoratori – di carichi e orari di lavoro, nessun arretramento per quanto riguarda le tutele e i diritti nella parte normativa, nella quale al contrario si introducono nuove opportunità di accedere a permessi retribuiti per motivi personali e familiari o previsti da particolari disposizioni di legge”.
Il bonus per il merito, che ha creato tantissime divisioni all’interno delle scuole in passato, non verrà più distribuito interamente dai dirigenti scolastici ma confluirà in parte (il 70 per cento il primo anno e a decrescere negli anni successivi) nelle tasche degli insegnanti attraverso gli aumenti di stipendio e la restante parte (il 30 per cento, sempre il primo anno) verrà assegnato sempre dai capi d’istituto ma in base alle regole contrattate a livello di istituzione scolastica.
La questione delle sanzioni disciplinari, che ha tenuto in sospeso la conclusione dell’accordo, viene rinviata ad una successiva tornata contrattuale.Mentre la mansione di tutor dell’alternanza scuola-lavoro sarà obbligatoria ma “incentivata” e cioè retribuita a parte.
Verranno mantenuti all’interno del borsellino elettronico i 500 euro per la formazione degli insegnanti per l’acquisti di computer, tablet e corsi di formazione.
Accolta la richiesta da parte degli insegnanti che non riceveranno più e-mail e messaggi anche di notte per riunioni o comunicazioni: il nuovo contratto prevede “il diritto alla disconnessione, a tutela della dignità del lavoro, messo al riparo dall’invasività delle comunicazioni affidate alle nuove tecnologie”, spiegano i sindacati.
Sempre per i docenti della scuola, le riunioni pomeridiane (consigli di classe, collegi dei docenti, ricevimenti dei genitori) passano da 40 ore più 40 ore a 80 complessive.
La formazione in servizio diventa obbligatoria, ma sarà il Collegio e la contrattazione scolastica a stabilire il monte ore complessivo annuale. “Il contratto – commentano Flc Cgil, Cisl e Uil – segna una svolta significativa sul terreno delle relazioni sindacali, riportando alla contrattazione materie importanti come la formazione e le risorse destinate alla valorizzazione professionale. Rafforzati tutti i livelli di contrattazione, a partire dai luoghi di lavoro, valorizzando in tal modo il ruolo delle Rsu (la Rappresentanza sindacale unitaria del singolo istituto) nell’imminenza del loro rinnovo”.
Il contratto appena sottoscritto, che vale per il triennio 2016/2018, scadrà il prossimo mese di dicembre. E già si pensa a quello successivo. “Siamo andati oltre, riuscendo a garantire aumenti superiori a quelli previsti, con l’obiettivo di dare – commenta soddisfatta la ministra Valeria Fedeli – il giusto e necessario riconoscimento professionale ed economico alle nostre lavoratrici e ai nostri lavoratori”. Ecco, nello specifico gli aumenti che dovrebbero scattare a marzo o aprile: 96 euro in media al mese per i docenti delle scuole e 105 euro al mese per i colleghi dell’Afam. “Per gli ATA delle scuole – calcolano al Miur – l’incremento medio è di 84,5 euro (si va da un minimo di 80 a 89 euro), per l’università di 82 euro, per ricercatori e tecnologi di 125 euro, per l’area amministrativa della ricerca di 92 euro, per l’ASI di 118 euro. Salvaguardato, per le fasce retributive più basse, il bonus di 80 euro”.
Ma non solo aumenti. Sono previste “Misure disciplinari – annunciano da viale Trastevere – per chi usa in modo improprio, ovvero con fini non coerenti con l’obiettivo dell’istruzione, della formazione e dell’orientamento, i canali di comunicazione informatici o i social per relazionarsi con gli studenti”. Entro luglio è previsto il rinnovo del codice etico.
E per i docenti che violassero la fiducia accordata dalle famiglie, “mettendo in atto comportamenti o molestie di carattere sessuale nei confronti dei loro alunni” è previsto il licenziamento.
Per le università, “si prevedono misure innovative per il personale che lavora nelle Aziende ospedaliere nonché per i collaboratori ed esperti linguistici, risolvendo alcune questioni rimaste aperte da tempo e mai risolte.
Per gli Enti di ricerca si confermano le forti specificità per il ruolo e per l’importanza che rivestono i ricercatori e tecnologi per la crescita e l’evoluzione del sistema Paese.
E per il personale Afam si prevede che il ruolo di professore di seconda fascia divenga ad esaurimento, puntando a un modello che vede il passaggio verso la prima fascia e fatte salve le graduatorie esistenti”, concludono dal ministero.

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Scuola, altolà di Fedeli: “Inaccettabili le pubblicità classiste dei licei”

Scuola, altolà di Fedeli: “Inaccettabili le pubblicità classiste dei licei”

L’intervento della ministra dopo la denuncia di “Repubblica” sugli istituti che presentano come un vantaggio l’assenza fra gli alunni di poveri, disabili e stranieri. “Così si viola la Costituzione e si nega la nostra vocazione all’accoglienza. Ho chiesto un monitoraggio all’Invalsi, prenderemo provvedimenti”

Le scuole che, per attrarre studenti, “descrivono come un vantaggio l’assenza di stranieri o di studenti provenienti da zone svantaggiate o di condizione socio-economica e culturale non elevata” violano i principi della Costituzione e travisano completamente il ruolo della scuola.  A dirlo è la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, dopo la denuncia di “Repubblica” che ha raccontato come molti licei, da Milano a Roma, presentino come propri punti di forza (che favoriscono “la coesione” e “l’apprendimento”) proprio l’assenza tra gli alunni di ragazzi di origine straniera, poveri e disabili.

Accade sul portale istituzionale “Scuola in chiaro”, dove ogni istituto pubblica il proprio Rav (Rapporto di autovalutazione): uno strumento nato per aiutare ragazzi e famiglie a scegliere la scuola confrontando le diverse opzioni. Diversi i casi citati da “Repubblica”: “Tranne un paio, gli studenti sono italiani e nessuno è disabile”, scrive ad esempio il classico romano Visconti. Mentre il genovese D’Oria sottolinea come l’assenza di “gruppi particolari” (ad esempio nomadi) offra ai ragazzi un “background favorevole”. “Non posso che stigmatizzare – spiega la ministra – il linguaggio utilizzato da alcuni istituti”. Così “si fa un passo indietro rispetto a una delle caratteristiche fondanti della scuola italiana: la capacità di inclusione e integrazione, riconosciuta anche a livello internazionale. E si nega di fatto l’articolo 3 della Costituzione” (‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge’, ndr).

La scuola di cui abbiamo bisogno, spiega Fedeli, è “inclusiva, capace di rispettare e valorizzare le differenze. Una scuola dove nessuno si senta escluso e dove tutti i ragazzi possano (indipendentemente da provenienza e condizioni) essere formati a diventare cittadini consapevoli. Perciò, conclude la ministra,  “scriverò oggi stesso all’Invalsi (l’istituto nazionale di valutazione, ndr)  perché faccia immediatamente un attento monitoraggio dei Rav in riferimento a questo tipo di episodi. L’autonomia delle scuole è sacra. Ma ci sono principi irrinunciabili cui tutti dobbiamo ispirarci”. Invece, “leggendo

certe espressioni sembra che qualcuno li abbia dimenticati. Alcune frasi appaiono gravi, persino classiste. Non sono tollerabili e prenderemo provvedimenti”. Tanto più, avverte, che proprio il Rav “rientra fra gli strumenti di valutazione” delle scuole e dei presidi.

 

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Maturità 2018

Maturità 2018, annunciate le materie della seconda prova.

 

Maturità 2018, annunciate le materie della seconda prova Matematica allo Scientifico, Greco al Classico
La Ministra Fedeli firma il decreto Torna #NoPanic, l’iniziativa del Miur dedicata all’Esame

 

Maturità 2018 ,Greco per il Liceo classico, Matematica per lo Scientifico, Scienze umane  per il Liceo delle Scienze umane, Economia aziendale per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing degli Istituti tecnici, Scienza e cultura dell’alimentazione per l’indirizzo Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera degli Istituti professionali.

Sono alcune delle materie scelte per la seconda prova scritta della Maturità 2018, annunciate oggi sui profili social del MIUR, dopo la firma dell’apposito decreto da parte della Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli. Il post di annuncio delle materie segna anche il ritorno di #NoPanic, l’iniziativa social del MIUR lanciata lo scorso anno per accompagnare con materiali informativi, consigli di esperti e video esplicativi i mesi che precedono la Maturità.

“Alle ragazze e ai ragazzi che affronteranno le prove a giugno faccio un grande in bocca al lupo. So che questo momento era molto atteso, come ogni anno. Si tratta del primo rito ufficiale che apre il percorso che nei prossimi mesi vi condurrà verso l’Esame. Anche quest’anno la macchina della Maturità si è messa in moto per garantire che tutto si svolga nel migliore dei modi: c’è un grande lavoro dietro le prove che svolgerete”. Prosegue la Ministra: “Le materie della seconda prova sono state individuate anche quest’anno scegliendo tra quelle che caratterizzano maggiormente il corso di studi. Ringrazio fin da ora le docenti e i docenti per l’impegno che metteranno nell’accompagnarvi verso l’Esame. Continuate, ogni giorno, a consolidare la vostra preparazione, ad arricchire le vostre conoscenze e competenze. Non solo in vista della Maturità, ma come bagaglio da portare con voi lungo tutto l’arco della vita”.

La #Maturità2018 avrà inizio il prossimo 20 giugno con la prova di Italiano. Il 21 giugno sarà la volta della seconda prova scritta, nella materia caratterizzante ciascun indirizzo. L’elenco completo delle materie scelte per la seconda prova è disponibile da oggi nella sezione dedicata all’Esame di Stato del II ciclo sul sito del MIUR:
http://www.istruzione.it/esame_di_stato/index.shtml.

Questo l’elenco sintetico delle principali materie.

Licei
Le materie scelte per la seconda prova sono: Greco per il Liceo classico; Matematica per lo Scientifico, anche per l’opzione Scienze applicate; Lingua e cultura straniera 1 per il Liceo linguistico; Scienze umane per il Liceo delle Scienze umane, anche per l’opzione Economico sociale; Discipline artistiche e progettuali caratterizzanti l’indirizzo di studi per il Liceo artistico; Teoria, analisi e composizione sarà la materia della seconda prova al Liceo musicale; Tecniche della danza al Liceo coreutico.

Istituti tecnici
Tra le materie scelte per i Tecnici: Economia aziendale per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing; Lingua inglese nell’opzione Relazioni internazionali per il marketing e nell’indirizzo Turismo; Estimo per l’indirizzo Costruzioni, Ambiente e Territorio; Meccanica, macchine ed energia per l’indirizzo Meccanica, Meccatronica ed Energia; Sistemi e reti per l’indirizzo Informatica e telecomunicazioni; Progettazione multimediale per l’indirizzo Grafica e comunicazione; Economia, Estimo, Marketing e legislazione per l’indirizzo Agrario.

Istituti professionali
Tra le materie scelte per i Professionali: Scienza e cultura dell’alimentazione per l’indirizzo Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera, Diritto e tecniche amministrative della struttura ricettiva nell’articolazione Accoglienza turistica; Tecniche professionali dei servizi commerciali per l’indirizzo Servizi commerciali; Tecnica di produzione e di organizzazione nell’indirizzo Produzioni industriali e artigianali – articolazione Industria; Tecnologie e tecniche di installazione e manutenzione per l’indirizzo Manutenzione e Assistenza tecnica.

Le materie affidate ai commissari esterni sono state individuate in modo da assicurare un’equilibrata composizione della Commissione. Sulla pagina del sito del Miur dedicata all’Esame di Stato è disponibile anche l’elenco delle discipline affidate a commissari esterni.

Quest’anno sono oltre 300 gli istituti coinvolti nel Progetto ESABAC  per il rilascio del doppio diploma italiano e francese; tra questi, per la prima volta sono compresi percorsi dell’istruzione tecnica (ESABAC Techno).

 

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